Si concluderà in tribunale, e dunque non bonariamente come inizialmente sperava, la vicenda del rapper milanese Paky reo di avere insultato i Carabinieri dal palco di un festival
Non ‘libera espressione artistica’. Così come molto spesso alcuni rapper giustificano le loro rime di insulti e di dissing. Ma diffamazione aggravata. Un reato penale.
E di questo Vincenzo Mattera, il rapper milanese più noto con il suo nome d’arte di Paky, dovrà rispondere presso la corte d’assise del tribunale di Latina.
La prima udienza è già fissata, 18 dicembre 2025. E in quell’occasione Paky avrà modo di spiegare l’accaduto, di giustificarsi se non di chiedere scusa. Cosa che al momento non ha ancora fatto. Ed è proprio di fronte non solo all’atto diffamatorio sul palco di fronte a migliaia di persone, ma anche rispetto alla connotazione del suo personaggio che la denuncia è scattata, causando un processo che sicuramente farà molto discutere.
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Di fatto questa non è nemmeno la prima volta che un musicista rap italiano finisce in tribunale. Anzi… in queste ultime settimane gli episodi legati alla cronaca che hanno portato a giudizio alcuni artisti sono stati parecchi. Episodi controversi, ma non drammatici, come quella che ha portato Rhove davanti ai giudici per la realizzazione di un video. Altri decisamente più pesanti, come tutta la vicenda legata alla sparatoria che ha portato il milanese Shiva a una dura condanna penale.
Il rap, da sempre un genere musicale noto per le sue tematiche provocatorie e il suo linguaggio diretto, non è mai stato estraneo alle polemiche. Per la verità sono moltissimi gli eventi anche drammatici che hanno circondato la storia della musica rap che, soprattutto negli Stati Uniti, è costellata di episodi tragici. E di omicidi.
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Basti pensare alla fine di personaggi diventati oggetti di culto come Tupac Shakur, assassinato dopo una lite per strada a Las Vegas: il processo per questo omicidio si sta concretizzando solo ora dopo una indagine andata avanti per oltre venticinque anni. Ma anche Jam Master Jay dei Run DMC, XXX Tentacion, e molti altri.
Il caso di Paky, rapper noto per il suo stile provocatorio e le sue collaborazioni con artisti di primo piano come Marracash e Sfera Ebbasta, risale al 24 agosto dello scorso anno, durante l’Explosive Festival a Latina. Paky, sul palco, durante la sua esibizione ha esclamato… “Latina, voglio dire solo una cosa: chi non salta adesso è un carabiniere pezzo di m****”.
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Testuale, né più né meno. Una frase che è stata percepita in modo letterale dalle migliaia di persone presenti molte delle quali hanno seguito l’invito dal rapper mettendosi a saltare sotto il palco.
Una frase che, percepita come un grave insulto nei confronti dell’Arma dei Carabinieri, ha avuto immediatamente un impatto significativo. Il SIM, l’associazione sindacale che rappresenta circa 12mila tesserati, ha denunciato il rapper per diffamazione aggravata. Un’azione legale ha sollevato un acceso dibattito sulla libertà di espressione e sui limiti della critica nei confronti delle forze dell’ordine. La causa è andata avanti e ora sarà un tribunale a esprimersi: se un insulto dal palco sia una goliardata, una espressione artistica o semplicemente un insulto.
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Si tratta di una vicenda che sta facendo molto discutere. È la prima volta che un sindacato decide di agire in modo concreto e in sede legale per tutelare penalmente la reputazione dei propri iscritti e dell’intero corpo.
Il SIM Carabinieri ha definito la decisione un risultato storico, evidenziando l’importanza di questo caso come deterrente per chi strumentalizza la propria posizione per alimentare l’odio verso le forze dell’ordine.
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Queste le parole del segretario generale del SIM Antonio Serpi: “Un artista ha la piena libertà di esprimersi, ma qui siamo agli insulti gratuiti, con l’aggravante di aver reso una ingiuria una forma di intrattenimento sul palco e di fronte a migliaia di persone. Ci aspettiamo che il tribunale faccia chiarezza su quello che è lecito e quello che non lo è. Ci aspettiamo una ferma condanna. Resta inteso che qualsiasi cosa i giudici decideranno in termini di sentenza finale e di risarcimento andrà in beneficenza”.
Shiva, un altro rapper di spicco della scena musicale italiana, ha affrontato problematiche legate alla cronaca nera e alle controversie legali. La sua carriera, caratterizzata da successi commerciali e una forte presenza sui social media, non è stata esente da polemiche.
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Nel maggio 2023, Shiva è stato coinvolto in un caso controverso che ha avuto ripercussioni sia legali che sociali. L’artista è stato accusato di incitamento all’odio attraverso il suo profilo Instagram, dove aveva pubblicato contenuti ritenuti offensivi e incitanti alla violenza. I post, che includevano dichiarazioni contro determinati gruppi sociali e politici, sono stati considerati da molti come una forma di incitamento all’odio.
Le autorità hanno avviato un’indagine per verificare se le dichiarazioni di Shiva potessero configurarsi come reati di incitamento alla violenza e alla discriminazione. La situazione ha sollevato un ampio dibattito sulla responsabilità dei contenuti pubblicati sui social media e sulla libertà di espressione degli artisti.
Shiva ha poi rimosso i post controversi e si è scusato pubblicamente, ma il danno alla sua immagine era già stato fatto. Questo episodio ha messo in luce la fragilità della reputazione nel mondo moderno e il potere delle piattaforme social nel determinare la carriera di un artista.
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Shiva è poi tornato d’attualità con il processo per una sparatoria avvenuta nei pressi della sua casa discografica con due persone ferite. L’11 luglio scorso è stato condannato a 6 anni e mezzo di carcere con l’accusa di tentato omicidio…
Rhove, un altro rapper italiano, ha attirato l’attenzione della cronaca nera con un episodio che ha avuto ripercussioni sia legali che pubbliche. Nel luglio 2023, durante un’esibizione dal vivo, Rhove è stato coinvolto in un alterco con un fan. L’incidente, che ha visto il rapper aggredire fisicamente un partecipante al concerto, ha generato una grande controversia.
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La reazione del pubblico e dei media è stata immediata. Molti hanno condannato il comportamento di Rhove, sottolineando che la violenza non ha mai posto nella scena musicale, indipendentemente dal contesto. L’aggressione ha portato a una denuncia formale e a un’azione legale contro il rapper, che si è trovato a dover fare i conti con le conseguenze di un comportamento impulsivo e violento.
In seguito all’incidente, Rhove ha emesso una dichiarazione pubblica in cui esprimeva rammarico per l’accaduto e si scusava con il fan coinvolto. Tuttavia, l’episodio ha avuto un impatto pesante sulla sua carriera, con alcuni concerti annullati e sollevando interrogativi sia sul comportamento degli artisti che sulle aspettative del pubblico nei confronti di chi si esibisce sul palco.
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Anche Rhove recentemente è finito di nuovo sulle pagine di cronaca per la realizzazione di un video che aveva causato pesanti ripercussioni nel pieno centro di Milano. In quetso caso però i giudici lo hanno condannato con la mano leggera: un mese di arresto, pena sospesa, e 100 euro di multa. Il giudice Paola Filippini decise di tenere conto anche di un comportamento processuale positivo.
I casi di Paky, Shiva e Rhove evidenziano una tendenza più ampia nel mondo del rap, dove il conflitto con le forze dell’ordine e le autorità è un tema ricorrente. Forse non esclusivamente artistico.
La critica nei confronti delle istituzioni e delle forze dell’ordine è una parte integrante del rap. Al Tribuale di Latina toccherà ora decidere se questa critica si trasforma in insulti o incitamento alla violenza, quali possono essere le conseguenze di carattere penale. Una valutazione che i tribunali americani hanno espresso già almeno da venticinque anni con condanne durissime a carico degli artisti…