La musica italiana piange una delle sue voci più illustri e qualificate, Massimo Cotto – speaker di Virgin Radio, biografo, autore e scrittore – ci lascia a 62 anni stroncato da un attacco cardiaco
Senza clamore né annunci social Massimo Cotto se ne è andato in modo silenzioso e molto distinto, una fine non da rockstar, come tante ne aveva raccontate in oltre 40 anni di attività artistica giornalistica e professionale, ma da gentiluomo garbato che amava fare rumore solo con la sua musica. La notizia la conferma sua moglie Chiara con un messaggio delizioso accanto a una loro splendida foto su Instagram.
Sotto ci sono centinaia di messaggi. Colleghi, amici, ascoltatori: e tanti, tantissimi artisti. Che Massimo conosceva uno per uno e dei quali custodiva molti segreti. Era uno dei pochi ad avere il privilegio di sentirsi dire da superstar di valore assoluto… “mi fido, se vuoi scrivilo”.
Massimo Cotto era stato male alcune settimane fa, un infarto, molto grave. I medici lo avevano preso per i capelli ma le sue condizioni erano rimaste molto gravi. In un periodo di rotazioni e trasmissioni ridotte per via di estate e vacanze, la sua assenza nel tradizionale programma del mattino che conduceva da anni non era certo passata inosservata.
Poi, con il dubbio gusto sempre più squallido di un mondo che preferisce sbattere notizie false in prima pagina solo per il gusto di arrivare prima, alcuni giorni fa si era sparsa la notizia della sua morte. Una notizia che aveva lasciato tutti sconcertati perché fino a pochi giorni prima, Massimo, era comunque in onda.
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A intervenire era stata la radio con la voce dei suoi speaker ufficiali e del suo direttore in testa, Ringo. In modo piacevolmente colorito Virgin aveva definito la notizia una fake news. Ma che la situazione fosse seria si capiva perché tra le righe il messaggio era che Massimo non sarebbe rientrato immediatamente in onda, che aveva bisogno di stare tranquillo e che tutta la famiglia della radio gli sarebbe rimasta vicino.
La notizia della morte è stata ufficializzata nella notte tra giovedì e venerdì. Le gravissime conseguenze dell’infarto dal quale il conduttore e autore non si era più ripreso, si erano fatte purtroppo irreparabili.
Nato ad Asti nel 1962, Massimo Cotto aveva iniziato a lavorare come DJ a 20 anni. Era il periodo delle radio locali, che qualcuno all’epoca definiva ancora giustamente pirata perché il limite di ciò che si poteva fare era esclusivamente tecnologico e le trasmissioni si inventavano dal giorno alla notte.
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Un periodo indimenticabile per chi l’abbia mai potuto vivere. Grandissimo appassionato di musica, uomo di straordinaria curiosità che alimentava andando ad accaparrarsi qualsiasi giornale internazionale che parlasse del suo grande mito, l’America, Cotto è diventato ben presto molto più di una semplice voce radiofonica.
La sua era una conoscenza enciclopedica che spaziava in un’evoluzione che dai grandi classici degli anni ‘60 e ‘70 lo avevano portato a vivere pienamente l’esplosione del grunge, del punk del metal senza mai rinunciare a un’acuta ricerca per la grande musica italiana.
Nel corso degli anni Massimo Cotto ha realizzato centinaia di interviste e decine di biografie alcune delle quali di valore mondiale, tradotte in più lingue. Ha scritto di Mina e Celentano così come di Leonard Cohen e Bruce Springsteen. La cosa più sorprendente di lui era il rapporto incredibilmente personale ed empatico che riusciva a creare con rockstar solitamente molto scontrose e ben lontane dalla capacità di comunicare col pubblico che non fosse semplicemente quella limitata al palco.
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Quello che poi Massimo riusciva a fare con il microfono e la penna era un lavoro raro che si sposava con quella che era il suo grande talento, la narrativa, unitamente a quella curiosità che aveva mosso la carriera fin dai suoi primissimi passi.
Centinaia di ore di programmi radiofonici attraverso tutti i più grandi gruppi editoriali italiani. Dalla RAI a Radio Capital, da Radio 24 fino a Virgin Radio dove trova la perfetta declinazione per quella sua umana capacità di raccontare il rock, con le sue grandezze e le sue miserie, rendendola una straordinaria vetrina nazional popolare.
Dopo aver dato vita a Rock Bazar, una delle rubriche più belle mai in realizzate da una radio italiana nel corso della quale andava a raccontare aneddoti davvero sconosciuti che molto spesso gli venivano rivelati direttamente dai suoi stessi protagonisti, inizia Rock and Talk. È un mattinalissimo, il programma di apertura del palinsesto. Un lungo percorso che lo vede affiancato da Antonello Piroso, Il cavaliere Nero e Maurizio Faullisi, il doctor Feelgood nel quale il suo alter ego, Mister Cotto, raccontava delle sue grandi passioni la musica, gli artisti, i dischi e i concerti. E qui svela il suo carattere più ironico ed empatico con battute dirompenti.
Cotto, grande appassionato di comicità americana, era un cultore del Saturday Night Live, di Belushi, Mel Brooks, e di una cultura che portava molto spesso allo spettatore medio rendendola semplice, efficace e alla portata di tutti
Massimo Cotto aveva una convinzione che lui stesso definiva spesso presunzione: che la musica dovesse essere se non gratis quanto più popolare possibile. Sognava l’idea di quartieri con sale prove dentro le scuole dell’obbligo dove i ragazzi potessero misurare la propria capacità e il proprio talento con gli strumenti fin da ragazzini. In questo aveva investito molte risorse prestandosi anche come assessore della sua città, Asti, dove riuscì a portare grandi spettacoli di notevolissimo valore culturale.
Ha scritto per la televisione lavorando anche per grandi programmi: Festival di Sanremo, dove è stato giurato di qualità in una delle ultime edizioni dirette da Pippo Baudo. E poi The Voice of Italy lavorando gomito a gomito con personaggi straordinari e autentici guru, Mara Maionchi su tutti. Piero Pelù lo volle come suo autore.
In realtà se la sua voce lo ha reso estremamente popolare nel mondo del rock era il modo in cui riusciva a scrivere a definirlo maggiormente. Cotto portò le grandi storie del rock a teatro, inaugurando una forma di spettacoli che molti dopo di lui hanno copiato, in modo per la verità non altrettanto convincente. Sapeva che la forza era la storia che raccontava, e come tale si metteva al servizio della narrativa giocando sempre a fare il tramite, e mai il protagonista.
Alcune delle sue pubblicazioni, un centinaio, sono autentici capolavori. Scriveva in quantità industriali.
Alternava brevi racconti e biografie quasi tutte inserite in collane di grande prestigio – pubblicate per Arcana, Mondadori, De Agostini, Aliberti, Rizzoli, Marsilio – dedicandosi di tanto in tanto a vere e proprie enciclopedie con le quali attraversava intere epoche di musica rock e blues.
Ligabue lo sceglie come autore per la biografia dei suoi trent’anni, pubblicata nel 2021. Il suo ultimo libro, Non ho ucciso l’Uomo Ragno, rilancia la figura di Mauro Repetto, il secondo degli 883. In Decamerock si diverte a raccontare tutti gli episodi più scollacciati di una vita ai limiti di superstar che avevano davvero fatto della propria esistenza un percorso a rischio tra sesso droga e rock’n’roll.
Tra i suoi libri imperdibili, Il grande libro del rock, pubblicato da Rizzoli nel 2011, una lettura enciclopedica dei classici intitolata We Will Rock You, la biografia dedicata a Janis Joplin del 2007 e il suo romanzo forse meno noto, dal titolo Hobo una vita fuori giri nel quale il rock diventa lo sfondo e il pretesto per raccontare qualcosa di molto più personale. Con questa pubblicazione vincerà il premio Cesare Pavese.
Tifosissimo del Torino – ogni tanto mi piacerebbe anche vincere – era una delle sue frasi più divertenti quando parlava dei Granata, aveva sposato in seconde nozze dopo Simona, giornalista sportiva che lo aveva affiancato nei suoi primi anni di attività professionale, Chiara Buratti che sposa nel 2006 e che gli regala il suo unico figlio, Francesco Danilo che oggi ha 17 anni.
Raramente la frase fatta vuoto incolmabile ha più senso dopo la notizia della sua scomparsa.