Protagonista per eccellenza della criminalità milanese per molti anni, Renato Vallanzasca – condannato a più ergastoli – è vecchio e malato e dovrà curarsi fuori dal carcere
Sono lontanissime le sue fughe rocambolesche che fecero epoca. Come quando riuscì in qualche modo a scappare da un traghetto che avrebbe dovuto trasferirlo in grande sicurezza al carcere della Maddalena.
Al Carabiniere che lo aveva fermato in macchina durante un normale controllo di routine disse… “sono Vallanzasca, bravo caramba, hai fatto 13…”.
Noto come il “bel René”, per via del suo aspetto molto affascinante e impreziosito da due splendidi occhi, Vallanzasca è il nome che più di ogni altro rievoca le storie oscure della mala milanese tra li anni ’70 e ’80. Ma oggi, a 74 anni, l’uomo che ha terrorizzato Milano con rapine, omicidi e fughe rocambolesche è alle prese con una battaglia diversa: la sua salute mentale.
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E così,con la richiesta della Procura Generale di Milano che accoglie il trasferimento in una struttura di cura per demenza, si chiude anche l’ultimo capitolo di una vita che sembra uscita da un romanzo noir.
Renato Vallanzasca è uno dei personaggi più famigerati della storia criminale italiana. Nato nel 1950 a Milano, è cresciuto nel quartiere Comasina, dove fin da giovane si è immerso nel mondo della delinquenza. La sua ascesa criminale iniziò presto: a soli 9 anni venne arrestato per aver liberato degli animali da uno zoo.
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Negli anni ’70, Vallanzasca fondò la cosiddetta Banda della Comasina, un gruppo di criminali noto per rapine spettacolari e sequestri di persona. Ma anche per alcuni efferati omicidi…
Nonostante la sua carriera criminale sia costellata da frequenti arresti, Vallanzasca è spesso riuscitp a evadere dal carcere, consolidando la sua reputazione di criminale carismatico, audace e inafferrabile.
Vallanzasca divenne rapidamente un’icona della mala milanese, anche grazie al suo fascino e al suo aspetto da “bel René”, soprannome che derivava dalla sua presenza affascinante. Ma il suo curriculum criminale è costellato di violenza e sangue: a lui e alla sua banda sono attribuite rapine a mano armata, sequestri di persona e l’uccisione di sette persone, inclusi poliziotti e carabinieri. La sua vita fu segnata da numerose evasioni dal carcere, come quella famosa dal penitenziario di San Vittore nel 1976, quando riuscì a fuggire attraverso i condotti fognari.
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Le sue evasioni divennero leggendarie, tanto da entrare nel pantheon dei criminali più famosi del mondo. Tra le sue fughe memorabili c’è anche quella dal carcere dell’Asinara nel 1987, in compagnia del bandito sardo Matteo Boe. Vallanzasca sfruttò le debolezze del sistema carcerario italiano, utilizzando spesso il suo carisma e la sua astuzia per evadere o per ottenere vantaggi nelle sue condanne.
Negli ultimi anni, però, la storia di Vallanzasca ha preso una svolta drammatica. L’uomo che un tempo sfidava lo Stato e la società con il suo comportamento audace e ribelle, è ora affetto da una grave forma di demenza. Dal gennaio 2023, i segnali di decadimento cognitivo sono diventati sempre più evidenti, al punto che la sua difesa, rappresentata dagli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi, ha richiesto il differimento della pena.
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Secondo il procuratore generale di Milano, Giuseppe De Benedetto, Vallanzasca non è più autosufficiente e la sua condizione di salute è “incompatibile con il carcere poiché non gli consente neppure di percepire la finalità della reclusione e il senso della pena.”
Durante un’udienza recente presso il Tribunale di Sorveglianza di Milano, il “bel René” è apparso in aula accompagnato da quello che il bandito definisce il suo angelo custode, un volontario che lo ha assistito in questi ultimi anni assumendo anche la qualifica ufficiale di tutore. Occhiali da vista spessi, pantaloni blu scuro e camicia chiara, Vallanzasca è apparso visibilmente provato. Ha risposto in modo non coerente alle domande dei giudici confermando la diagnosi dei medici dell’ospedale del carcere.
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I suoi avvocati hanno sottolineato come Bollate, dove è attualmente detenuto, non sia attrezzato per gestire adeguatamente un detenuto con demenza, e che la detenzione stessa rappresenti “un fattore peggiorativo delle condizioni cliniche” di Vallanzasca.
Dieci giorni fa, la difesa ha ricevuto il via libera per il trasferimento di Vallanzasca in una struttura residenziale specializzata in Alzheimer in provincia di Padova, una delle più grandi del Veneto. Alcuni funzionari medici della struttura, che è gestita dalla curia padovana, hanno già visitato Vallanzasca confermando che è affetto da una patologia gravissima e irreversibile. La richiesta di trasferimento è stata sostenuta non solo dalla difesa e dai medici, ma anche dal procuratore generale, che ha dichiarato: “Per rispetto dei principi di umanità, questa è l’unica alternativa possibile al carcere”.
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L’ipotesi di una “pericolosità sociale” di Vallanzasca, ormai 74enne, appare del tutto remota. Così come la reiterazione dei reati.
Sono trascorsi dieci anni dall’ultimo reato commesso, un furto di biancheria intima durante un permesso premio, episodio che fece notizia e che lui cercò di giustificare come un “complotto”. Da allora, non ha avuto contatti con la criminalità organizzata e ha usufruito di permessi premio senza incidenti.
L’eventuale trasferimento in una Residenza Sanitaria Assistita (RSA) segnerebbe probabilmente l’ultimo capitolo della vita di Vallanzasca, una vita che ha attraversato decenni di storia criminale italiana. Per alcuni, il declino fisico e mentale di Vallanzasca rappresenta un contrappasso ironico, un’ultima punizione per un uomo che non ha mai mostrato rimorso per i suoi crimini. Mai apparso davvero pentito davanti ai familiari delle sue stesse vittime, Vallanzasca ha sempre mantenuto una certa arroganza, negando persino le accuse contro di lui e rigettando ogni possibilità di ravvedimento.
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Il Tribunale di Sorveglianza di Milano deciderà nei prossimi giorni se approvare il trasferimento in una RSA, dove Vallanzasca potrebbe trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Un finale che sembra quasi tragico nella sua banalità, considerando l’aura di leggenda che ha circondato il “bel René” per così tanto tempo.
Come molti altri personaggi della mala milanese, Vallanzasca ha mantenuto un certo fascino anche fuori dalle mura del carcere. La sua vita è stata oggetto di libri, documentari e persino di un film, “Vallanzasca – Gli angeli del male” diretto da Michele Placido nel 2010, che ha ulteriormente alimentato il mito del “bel René”. Nei suoi panni Kim Rossi Stuart…
Tuttavia, non bisogna dimenticare che dietro la sua figura romantica e ribelle c’è una lunga scia di sangue, dolore e sofferenza.
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Il destino di Renato Vallanzasca sembra destinato a concludersi non con una ennesima fuga spettacolare o un colpo di scena degno del copione di un film. Ma nella stanza di un ospizio, in mezzo ad altri anziani malati. Un epilogo che somiglia più a una tragedia shakespeariana che a un film d’azione. Come scriveva l’ex moglie Antonella D’Agostino: “È una larva umana, l’ombra di sé stesso, merita un po’ di pietà. Sempre che cinquant’anni di carcere non sembrino pochi…”.
Vallanzasca è stato un bandito recidivo che non si è mai veramente pentito e che ha vissuto la sua vita ben consapevole del suo ascendente e del suo peso nella malavita. Ora, quel che resta del “bel René” è un uomo anziano, fragile e malato, che combatte contro un nemico che non può sconfiggere: la sua stessa mente. E forse, in questo contrappasso finale, si cela una sorta di giustizia per tutte le vite spezzate e il dolore causato nel suo passato criminale.