Al processo che coinvolge la società di consegna del cibo a domicilio Uber per il reato di caporalato sono state pronunciate le prime sentenze.
Secondo l’accusa, formulata al termine delle indagini condotte dal pm Paolo Storari, la società reclutava i rider assumendoli attraverso due società di intermediazione per poi impiegarli in condizioni di sfruttamento con una paga a cottimo di 3 euro all’ora, spesso derubati delle mance e puniti con la decurtazione dei compensi se non si adattavano alle regole imposte.
Per questi presupposti, riconducibili al caporalato, l’azienda era stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria fino a quando non aveva dimostrato un cambiamento nella gestione con l’introduzione, tra l’altro, di protocolli di sicurezza sanitaria per i rider e la promessa di regolarizzare i dipendenti tramite contratto.
Nel corso dell’udienza del dicembre scorso si era quindi deciso di mandare a processo una decina di persone per l’accusa di caporalato e altri reati di natura fiscale. Tra queste, Giuseppe Moltini, uno dei responsabili delle società coinvolte, ha ricevuto una condanna a 3 anni e 8 mesi dopo aver ottenuto il rito abbreviato; stesso procedimento a carico di Leonardo Moltini condannato a 3 anni e Danilo Donnini, condannato a 2 e per Miriam Gilardi condannata per il solo favoreggiamento a 1 anno e 6 mesi. Altre condanne sono state emesse solo per reati di natura fiscale.
Nell’inchiesta risulta coinvolta anche Gloria Bresciani in qualità di ex manager che andrà a processo il prossimo 18 ottobre.
In fase di indagine era stato disposto anche il sequestro di circa mezzo milione di euro in contanti trovato in possesso degli intermediari.
Questa cifra è stata convertita in un risarcimento di 10mila euro a testa a beneficio dei 44 rider distribuiti tra Milano, Torino e Firenze che si erano costituiti parte civile così come avevano fatto la Cgil, altra beneficiaria del risarcimento e la Camera del Lavoro.