In principio fu La Pina, ora tocca a Rose Villain. L’emancipazione femminile arriva sulla traccia con vista su Milano.
Il Duomo cambia le persone, ma soprattutto muta i costumi e le tendenze. E non solo perchè ha a che fare con la moda, ma perchè riesce a inglobare chiunque senza il peso del passato. All’ombra della Madonnina conta il presente e l’efficienza. Vale per il lavoro, ma anche e soprattutto per la musica. Eterogenea, sì, ma deve anche funzionare.
La Scala (di note) deve presentare brani da hit parade: altrimenti c’è il rischio di deludere la scena. Sì perchè sul territorio meneghino, anche se sotto traccia (non sempre si parla di musica), ci hanno sempre tenuto a dettare lo stile. Ridisegnare i canoni, cambiare lo status quo.
Basti pensare che da Milano sono partite le prime radio libere in Italia, poi c’è stato il ciclone Cecchetto (con Radio Deejay e Radio Milano International, senza dimenticare Capital) e adesso tocca a Linus e Nicola Savino. Milano è armonia, è musica, è capacità. Lavoro e applicazione.
Tutto questo anche in strada, dove a prendere forma era (ed è) una scena molto particolare: meno rude e anticonformista del passato, ma ugualmente con qualcosa da dire. Quel che conta, specialmente nell’HipHop, è portare un messaggio: Milano ne ha tanti. Più di qualcuno è stato raccolto, gli altri li stanno ancora decifrando.
Attualmente, anche di straforo, sull’autobus, durante la giornata, si è tornati a discutere di emancipazione e gender equality: donna al pari dell’uomo, dovrebbe essere una cosa scontata, ma a conti fatti non lo è. Ce ne rendiamo conto in politica e anche in altri settori: in particolare lavoro e arte.
Le due cose sono ancora distinte perchè – altro pregiudizio – l’arte non sempre paga. Anche per questo scegliere di essere artisti oggi è un atto rivoluzionario: non che prima fosse più accessibile, ma se non altro c’era una maggiore pressione e voglia di spaccare (in particolare i pregiudizi) che oggi, forse, viene sopraffatta – in parte – dall’ipertrofia mediatica a cui siamo sottoposti.
Tutto troppo veloce, ma non abbastanza per perdere di vista le cose importanti. C’è Rose Villain, per quasi tutti, ma non per molti, Rosa Luini. Figlia di un grande industriale, decide di cambiare vita: niente scadenze, solo emozioni e grinta. A Sanremo, quest’anno, arriva con Click Boom. Una canzone che parla della tossicità e le aspettative nei rapporti.
Saper leggere la società contemporanea in una barra. Non è solo merito suo, ma anche della produzione. Quel che conta, però, è che l’HipHop italiano è anche donna. A ribadirlo – e questo è motivo di vanto per la comunità meneghina – è proprio Milano che nella sua storia contemporanea ha saputo lasciare spazio al futuro addirittura quando parlarne non era così scontato.
In questo contesto nascono donne che, con l’HipHop, hanno affrontato il gender gap annullandolo nello spazio di qualche rima. L’esempio più fulgido è quello de La Pina, attuale speaker di Radio Deejay, che però è riconosciuta come pioniera della doppia acca femminile. Per capirlo bisogna tornare indietro al 1988: Jovanotti pubblica un album dal titolo evocativo “Jovanotti For President”.
Quello rappresenta, per gli appassionati di Rap e HH, il tradimento alla scena. Per la prima volta Cherubini mette dentro il proprio lavoro sonorità che con quegli anni c’entrano poco e importa campionamenti dall’America che non vengono affatto condivisi. Anzi, questa contaminazione con l’House (che con gli anni si rivelerà avanguardista) non piace per niente agli amanti dell’HipHop italiano.
Cherubini rompe il cordone e passa al Pop, ma sulla scena Rap ci si sente persi. Allora inizia a veicolare il patto implicito di tornare ai classici: per questo formazioni come Articolo 31, Sottotono e Sangue Misto al nord fanno la differenza. Centri sociali, raduni e live. Tanti live dove conta la parola e vale, soprattutto, non tradirla.
In questo contesto cresce e matura la figura artistica di Orsola Branzi (che sarà per tutti La Pina). Anche lei – come Rose Villain oggi – veniva da una famiglia benestante e ha voluto sparigliare le carte. Figlia di Andrea Branzi, architetto e Compasso D’Oro, uno che non aveva certamente bisogno di presentazioni.
Invece Orsola si presenta tra Milano e Bologna, cresce attraverso la frequentazione del Centro Sociale Kantiere (che è stato quello che per Myss Keta sarà il Motel Forlanini) dove fonda e fa maturare il movimento sociale Le Pine. Un vero e proprio collettivo che mette al centro la figura femminile e la normalità di pretendere un futuro all’altezza dei propri sogni.
Anche il nome successivo, La Pina, deriva proprio da questo. Lei amava (e ama) un certo tipo di sound: quello americano, figlio di personalità come Queen Latifah, Lil Kim e Foxy Brown. Lei non voleva scimmiottarle, intendeva fare la differenza con la semplicità. Essere forti, determinanti, unici rimanendo sé stessi.
Da qui La Pina, come la moglie di Fantozzi, una signora nessuno che diventa qualcuno: niente prosopopea e autoreferenzialità. Solo talento sulla traccia, e che traccia. Singoli come “Piovono angeli”, “Parla Piano” e “Scegli me” restano un vortice di emozioni senza tempo. In grado di mettere al centro i sentimenti attraverso un mondo dritto, cinico e in parte rude come quello che (prima del suo avvento) era l’HipHop italiano.
Leggi anche: Strage di Erba, oggi l’udienza di revisione del processo: cosa è successo
Quindi quello che accomuna Rose Villain e La Pina, a parte Milano come maestra di vita, è la volontà di uscire dagli schemi e portare un pezzo di sé all’interno del beat. Quel che precedentemente – al contrario di oggi – era considerato prematuro e rischioso. Attualmente è un valore aggiunto proprio perchè c’è chi ha saputo rischiare qualcosa in più.