Antonio Albanese viene ricordato in larga parte per ruoli comici, ma si è anche distinto in parti impegnate e particolarmente profonde.
Antonio Albanese si è distinto ai David di Donatello per due opere che lo vedono protagonista: la prima è “Cento Domeniche” – dove figura anche in qualità di regista – la seconda è “Un Mondo a Parte”. La regia in quel caso è di Riccardo Milani (marito di Paola Cortellesi che ai David ha fatto incetta di premi con “C’è Ancora Domani”), ma Albanese riesce ugualmente a incarnare le suggestioni di un protagonista che si alterna fra perplessità e voglia di fare la differenza sul piano didattico e sociale.
Molto spesso queste due dimensioni combaciano. Basta saperle cogliere nelle sfumature del quotidiano. Proprio come fa un insegnante, ruolo che interpreta nel film di Milani. In “Cento Domeniche”, invece, la situazione è diversa: il racconto di un operaio che perde tutto a causa di vicissitudini bancarie che non dipendono direttamente da lui garantisce uno spaccato di vita che mette l’accento sulla distanza fra istituzione e Paese reale.
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Albanese, poi, interpellato dall’ANSA, spiega come è arrivato al punto di dover raccontare quello che sente dentro da tempo: “L’attore e il regista oggi devono rappresentare anche situazioni spiacevoli per offrire un ritratto che sia spunto di riflessione e presa di coscienza – ha detto – quindi occorre anche andare oltre le tendenze e proporre contenuti più profondi”.
Non solo leggerezza, dunque, per Antonio Albanese che viene ricordato per maschere senza tempo come quelle di Alex Drastico e Cetto La Qualunque ma riesce a farsi apprezzare anche per qualcosa di più strutturato e importante sotto il profilo emotivo. Un mondo a parte – è il caso di dirlo – tranne in sala. Albanese è la dimostrazione che il cinema italiano può ancora essere veicolo di approfondimento e in parte militanza. Lontano dalla partigianeria, vicino alla gente.