Nell’interrogatorio di garanzia, il 22enne tunisino Fares Boudizi, amico di Ramy Elgaml, morto nell’incidente la notte di domenica 24 novembre, ha rivelato la sua versione dei fatti
Al gip durante l’interrogatorio di garanzia Fares Boudizi ha detto la sua verità su quanto avvenuto la notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre quando, a bordo dello scooter da lui guidato, l’inseguimento con i carabinieri si è poi concluso con l’incidente e la morte dell’amico Ramy Elgaml.
Il 22enne tunisino era alla guida del T-Max quando in via Ripamonti, nel quartiere Corvetto a Milano, è accaduta la tragedia. Il giovane ha dichiarato al giudice: “Ho sentito un botto con una spinta forte che mi ha spinto in avanti con lo scooter e poi siamo volanti sull’asfalto. Non mi sono proprio accorto che Ramy avesse perso il casco anzi io speravo di riuscire a fermarmi o a rallentare per permettere a Ramy di scendere”.
Il 22enne ieri ha risposto alle domande del pm e del Gip, non avvalendosi della facoltà di rispondere. Un interrogatorio durato due ore e mezzo in cui Boudizi ha esposto la sua versione dei fatti, spigando come riporta anche MilanoToday: “Mai nessuno mi ha intimato di fermarmi, io ho incrociato la macchina dei carabinieri, avevo paura perché non avevo la patente di guida e quindi sono scappato.
“Poi loro mi sono venuti dietro e la cosa si è incrementata. Io ho accelerato, loro mi sono venuti dietro. Io avevo questa ansia che mi fermassero”. Tutto è andato avanti sino al momento dell’impatto – secondo la versione esposta dal 22enne – con la gazzella dei Carabinieri che avrebbe colpito lo scooter da dietro facendo perdere l’equilibrio al guidatore e, di fatti, facendo sbalzare il T-Max.
Affiancato dal proprio il legale Marco Romagnoli che, al termine della convalida, si è fermato con i giornalisti per fare chiarezza sulla posizione del suo cliente, l’avvocato ha detto: “Il mio assistito ha descritto la fase finale come una spinta da dietro, un urto e poi ricorda di essere finito a terra e poi si è risvegliato in ospedale. Lui ha raccontato che d’istinto stava andando verso casa, verso le zone che conosceva”.
Successivamente l’indagato Fares Bouzidi ha anche parlato delle ore precedenti quella serata negando qualsiasi comportamento illecito, affermando che la collanina d’oro che aveva con sé, era sua e non era frutto di uno scippo.
Nel dettaglio ha anche raccontato quanto e dove l’avrebbe comprata mostrando al pubblico ministero di Milano delle foto di lui con la medesima collanina che risalgono a prima della notte del 24 novembre, giorno dell’incidente. Per lui quella era stata una serata normale. Ha raccontato che era uscito con gli amici in un locale.
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Una classica serata tra amici quella raccontata dal tunisino che, spiega al gip e al pm in aula, insieme all’amico Ramy – quella sera – ha deciso di fare un giro in corso Como. Ma una volta giunti nel luogo della movida meneghina, hanno deciso di andar via perché per strada ancora non c’era nessuno, tutti erano nei locali. Così, l’ultima decisione, ovvero quella di raggiungere di nuovo i loro amici terminando lì la serata.
Ed è stato nel tragitto di ritorno, pochi minuti dopo, che i due amici hanno incrociato la prima gazzella dei carabinieri. Da lì sarebbe scattato l’inseguimento. Una versione, quella rilasciata da Boudizi, completamente diversa da quella emersa finora.
Per questo il legale Romagnoli ha chiesto al Gip di rimettere in libertà il 22enne. Ma il giudice ha deciso che l’indagato resti agli arresti domiciliari per resistenza a pubblico ufficiale e indagato per omicidio stradale. Dopo la versione di Fares Boudizi, sarà la Gip Marta Pollicino a decidere.