Il brutale femminicidio di Pamela Genini, avvenuto ieri a Milano, ha scosso l’intero Paese. Tra poche ore Gianluca Soncin sarà davanti al giudice. L’analisi del criminologo.
Ha trascorso la prima notte nel carcere di Milano San Vittore Gianluca Soncin, il 52enne in stato di fermo per l’omicidio di Pamela Genini, 29 anni. La ragazza aveva deciso di interrompere la loro relazione costellata da episodi di vessazioni e abusi appena poche ore prima.

Soncin, 23 anni più vecchio di Pamela, biellese di origine ma residente a Cervia, qualche anno fa era già stato arrestato per una truffa su una compravendita delle auto di lusso. Ieri, appena dimesso dall’ospedale Niguarda per le ferite che si era auto-inflitto dopo aver ucciso la ragazza, non ha risposto alle domande della pm Alessia Menegazzo. La Procura della Repubblica ha contestato a Soncin l’omicidio, aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi, dalla relazione sentimentale, dalla crudeltà e dallo stalking.
“Gli elementi tipici dei femminicidi sono tutti presenti anche in questo caso, troviamo tutti gli elementi ricorrenti. La cosa che colpisce, anche se non è una novità assoluta, è la differenza di età tra i due: lei 29 anni e lui 52. Una notevole differenza d’età che potrebbe far presagire ancora una maggiore ossessione. Vede sfuggire questa donna, la sua giovinezza, e insieme a lei vede andare via anche una parte della propria vita. Dinamiche malate senza alcuna giustificazione. Un’errata percezione della realtà ed un’egoismo fuori da ogni umana comprensione”.
Femminicidio a Milano, Soncin davanti al giudice
Così, in esclusiva per Milano Cityrumors, Roberto Colasanti, criminologo clinico e investigativo, colonnello dei carabinieri in congedo, rappresentante dell’associazione Pro Territorio e Cittadini odv. Gianluca Soncin, che tra non molto comparirà davanti al gip che deciderà se convalidare l’arresto, ha fatto irruzione nell’appartamento di Genini, in via Iglesias a Milano. Ha aperto la porta con una copia delle chiavi fatta qualche settimana fa.
“C’è sempre la ritrosia alla denuncia, la speranza recondita che possa esserci un’inversione di tendenza, e anche la paura. Paura soprattutto che, con la rottura del rapporto, il conflitto si inasprisca. – ha continuato Colasanti – Quindi, magari, la speranza che con un atteggiamento più ‘morbido’ si possa arrivare a una uscita dal rapporto in modo tale che l’altro possa accettarne la fine. Ma così non è, evidentemente. Anzi: c’è una negazione assoluta del fatto che la relazione possa finire, che l’altra persona possa decidere diversamente, rifarsi una vita, anche solo dal punto di vista sentimentale”.

Quando Soncin ha varcato la soglia dell’appartamento, Pamela era al cellulare con l’ex fidanzato, con cui era diventata amica e al quale aveva confidato i suoi timori. “Se lo lascio mi uccide”, gli avrebbe confidato. Una paura maturata in oltre un anno di relazione fatto di lividi, di minacce, di pedinamenti. Lei, modella e imprenditrice nata a Bergamo, aveva attraversato l’inferno, costretta ad allontanarsi da amici e lavoro. Botte e calci, vestiti stappati di dosso, una pistola puntata al ventre, continui soprusi e minacce di morte a lei e ai suoi genitori.
“C’è questo rifiuto totale di accettare la situazione. – ha dichiarato il criminologo – È il fulcro della vicenda: soggetti che chiaramente non riescono a elaborare la fine, il distacco, al punto che la persona, piuttosto, viene uccisa con tutte le conseguenze annesse e connesse”.
Dopo aver sferrato a Pamela Genini 24 coltellate, con la polizia che stava facendo irruzione nell’appartamento, avvertita dall’ex che aveva ascoltato il grido d’aiuto, Soncin ha rivolto contro di sé l’arma, ferendosi. “In alcuni che commettono questi atti ricorrono questi gesti – ha concluso Roberto Colasanti – ma vediamo che spesso questa determinazione a togliersi la vita vacilla. La si vuole fare finita per sottrarsi alle conseguenze di ciò che si è commesso, non certo in chiave di pentimento”.