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Stramilano: Bianchi, Innocenti e… bar Basso!

Siamo ancora in giro per Milano alla scoperta delle storie di invenzione e di creatività che l’hanno fatta grande.
Se all’incrocio tra corso XXII Marzo e viale Piceno si svolta a sinistra, immettendosi sulla circonvallazione e si prosegue per viale dei Mille, arrivati in viale Abruzzi, all’angolo con via Plinio, ci troviamo davanti al bar Basso, dove nacque una delle tradizioni cittadine del tempo libero.

Infatti questo famoso bar milanese aprì nel 1947 e fu tra questi tavolini che si iniziarono a prendere gli aperitivi, che poi è diventato “sport” prima cittadino e quindi nazionale. La gente andava al bar Basso perché servivano delle cose particolari e lo facevano in modo particolare. Furono inventati qui il Negroni sbagliato ed anche i mangia e bevi di gelato e frutta. Un’inventiva che c’era anche nell’isolato dall’altra parte della strada, dove sorgeva una grande e leggendaria fabbrica.

Erano i capannoni della Bianchi: auto-moto-velo come era scritto su tutti i muri dell’azienda. Occupavano tutto l’isolato compreso tra viale Abruzzi, via Plinio e via Pascoli. Bianchi, un nome che parla da solo. Edoardo Bianchi era un martinitt, cioè era un trovatello, aveva aperto la sua prima bottega di biciclette nel 1885 e in pochi anni era arrivato ad essere il fornitore della real casa: faceva lui le biciclette su misura per il Re e la Regina. la sua azienda si allarga e cresce: fa tutto ciò viaggia su ruote e lo fa bene. Anche Giovanni Gilera, il fondatore dell’omonima casa motociclistica, prima di mettersi in proprio aveva iniziato lavorando alla Bianchi. Qui in viale Abruzzi la Bianchi apre nel secondo dopoguerra ed è una presenza forte del quartiere e della città. Poteva capitare, a chi passava da queste parti, di veder uscire dagli uffici Fausto Coppi in giacca e cravatta che saltava su una bici e andava all’officina tra i saluti e le acclamazioni dei passanti.

Da via Pascoli immaginiamo di ripartire: passiamo per piazza Leonardo da Vinci, poi giù per via Bassini fino al quartiere di Lambrate e a via Rubattino davanti agli ex stabilimenti Innocenti: era in quegli spazi che venivano prodotte le leggendarie Lambretta, motociclette divenute un mito in tutto il mondo. Si chiamavano così perché vicino allo stabilimento scorre il fiume Lambro, dal quale anche il nome del quartiere Lambrate. L’avventura del fondatore, l’ingegner Innocenti di Pescia, era iniziata a Roma con una fabbrica di tubi che trasferì a Milano nel 1931. Dopo la produzione bellica durante il conflitto, la riconversione si basò su mezzi a motore. Oltre agli scooter anche le auto, prodotte su licenza della British Leyland, come la Regent e soprattutto la Mini Innocenti.

E’ con la Lambretta che molti italiani riscoprirono la libertà di muoversi dopo la guerra e fu su quei sellini che si sentirono più ricchi, più moderni. Ma non solo gli italiani ci andavano a lavorare, in gita e in camporella. La Lambretta fu da subito esportata e poi prodotta anche all’estero, in Sud America, in India, in Spagna. Per 25 anni fu la regina del mercato, insieme alla Vespa. Nella fabbrica di Lambrate la produzione termina nel 1971 ma continuarono a farle, anche se diverse, per altri 30 anni in India e ancora oggi si producono negli Stati Uniti.