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San Raffaele: la scoperta del legame tra Covid e trombosi ai polmoni

Un lavoro scientifico multidisciplinare pubblicato sulla rivista “Journal of Cardiothoracic and Vascular Anesthesia” da parte degli specialisti dell’Irccs San Raffaele di Milano e dell’università Vita-Salute ha dimostrato che proprio in Italia si è capito per primi che la trombosi ai polmoni è la prima manifestazione del covid.

Lo conferma Adn Kronos salute che ha riportato le conclusioni di questo importante studio clinico.
Sin dalla diagnosi del paziente 1 di Codogno, infatti, i medici del San Raffaele si accorgono di un aumento anomalo di trombosi e complicanze trombotiche nei malati colpiti dal covid.
Un’evidenza che è stata subito condivisa con il resto della comunità scientifica come ha ricordato Giovanni Landoni, professore che coordina l’attività di ricerca in anestesia e rianimazione nell’Irccs e nell’ateneo.

“Abbiamo scoperto e documentato che queste trombosi avvengono nei polmoni e si sovrappongono ai processi infiammatori – ha continuato Landoni – sono localizzate infatti proprio nelle aree di polmonite, quelle geograficamente infiammate. E sono uno sviluppo e un peggioramento della polmonite stessa nei polmoni dei malati, dove soffia la tempesta infiammatoria”.

I medici del San Raffaele hanno anche coniato un nome per questa patologia definita, in uno studio pubblicato ad aprile, “MicroClots” a indicare i coaguli che colpiscono l’endotelio, la parete interna dei vasi a livello polmonare.

Avere capito che questo fenomeno normalmente associato ai vasi sanguigni e localizzato in altre parti del corpo fosse correlato al covid e nascesse proprio nei polmoni, ha quindi suggerito la verifica clinica sui pazienti malati attraverso l’uso della tac Pallaria acquistata grazie alle donazioni che hanno fatto nascere, a tempo di record, il padiglione esterno al San Raffaele in piena emergenza covid.

Ha spiegato Landoni: “Bisogna cercarle le trombosi e intervenire con i trattamenti. Oggi è diventato molto più comune fare Tac ai malati Sars, rispetto a prima. Ritengo che questo tipo di analisi scientifiche aiuti a migliorare la comprensione di questa malattia”

E ha quindi concluso: “È stato un lavoro che abbiamo condotto con apporto multidisciplinare e con tanti protagonisti: ci sono i radiologi che sono le prime firme di questo lavoro, gli immunologi ed ematologi che hanno pensato a un modello di fisiopatologia che somigliava a quello di alcune loro malattie, gli internisti che sono i medici più dotti del mondo, ci siamo noi rianimatori che abbiamo ci occupiamo di questi pazienti critici gli infettivologi. È stato veramente un lavoro di squadra, contro un nemico complesso”.
Tra gli autori del lavoro figura anche il prorettore dell’università Vita-Salute Alberto Zangrillo.