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L’Approfondimento: 1969, capitolo settimo

Qualcuno ha detto che con la strage di Piazza Fontana abbiamo perso l’innocenza.
Per uno che al momento dello scoppio di quella maledetta bomba era semplicemente un giovane impiegato di banca fra i tanti, non è stato facile.
In tutti questi anni di infinita ingiustizia, non è mai venuta meno la volontà di continuare a lottare.
Non mi sono mai arreso, anche quando la giustizia, come una novella Penelope, ha continuato fino ai giorni nostri a tessere le sue trame, disfacendo nel tribunale di una città la sentenza emessa dal tribunale della città precedente fino a chiedere, alla fine, ai familiari delle vittime il pagamento delle spese processuali, chiudendo così, con un ultimo sfregio, il processo più lungo e contraddittorio della storia giudiziaria italiana.
È la “giustizia bellezza”, è stato il commento delle solite vestali. Sarà pure così. Ma siamo di fronte all’atto conclusivo di una ingiusta giustizia. E mai ossimoro è stato più calzante”
Queste parole sono scritte nel bel libro di, Fortunato Zinni, poi diventato Sindaco del comune di Bresso, dal titolo Piazza Fontana: nessuno è stato (Maigraf Editore-Bresso, 2008)

Come avrete capito, concludiamo questa serie di cronaca/racconto dedicata al 1969 con uno dei fatti più cruenti mai avvenuti in Italia.

Milano, Piazza Fontana,ore 16,37: esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura un ordigno. Sette chilogrammi di tritolo. Fanno strame delle persone che si attardavano agli sportelli dell’istituto di credito intenti alle ultime operazioni e ben oltre l’orario di chiusura.

Non si trattava di una bomba isolata. Chi aveva premeditato l’azione pensava di agire su una molteplicità di fronti. Infatti, in Piazza della Scala, a poche centinaia di metri da Piazza Fontana, venne ritrovato un altro involucro con dell’esplosivo all’interno dei locali della Banca Commerciale. Misteriose le cause per cui questa bomba venne fatta subito brillare dagli artificieri, prima ancora che gli inquirenti ne venissero in possesso. Inoltre, nell’intenzione dei terroristi a dare una dimostrazione di capillare diffusione sul territorio nazionale, esplosero quasi contemporaneamente altre bombe a Roma. Una nei pressi della Banca Nazionale del Lavoro. Due altre esplosioni si registrarono all’Altare della Patria e davanti al Museo Centrale del Risorgimento, nell’antistante Piazza Venezia.

A Milano, in piazza Fontana, i soccorritori trovarono tredici morti sul colpo a cui si aggiungeranno altre tre vittime nelle ore successive. I feriti saranno ottantasette tra cui uno deceduto un anno dopo a causa dell’attentato. Una strage.

Questi i fatti sommariamente riassunti.

L’emozione era immensa. L’Autorità Giudiziaria con la polizia e i carabinieri dovevano fornire immediate risposte.

Subito fu seguita la pista anarchica.

I giornali vi si buttarono a capofitto, com’è giusto che avvenga a fronte di notizie di largo spessore.

Si esagerò, non di rado accade anche oggi, nel fornire delle tesi. In specie quando esse sono scarsamente motivate da riscontri oggettivi. E’ notorio: la nostra professione è costantemente soggetta a fallire nei refusi o nelle date, queste ultime lacune vanno distinte dalle titolazioni, i cui tempi di ponderazione sono largamente superiori e quindi maggiormente meditate. Se un prestigioso quotidiano come il Corsera, nell’edizione straordinaria del 12 dicembre 1969, titolava, Orrenda Strage a Milano e quasi a fargli eco era l’Unità, Orrendo Attentato a Milano diventava assai curioso, solo dopo pochi giorni, quanto altri fogli potessero asserire (a quattro colonne) e con sicumera. Su Pietro Valpreda: Un ballerino anarchico autore della strage di Milano. Poi si aggiungeva nel sommario, morto il ferroviere Giuseppe Pinelli lanciatosi dal quarto piano della Questura di Milano, dopo che era venuto meno il suo alibi: apparteneva allo stesso gruppo anarchico. Titolo e sommario de “Il Giornale d’Italia”.

La polizia si spinse subito lungo la pista della sinistra estrema e (come detto) delle associazioni anarchiche.

Famiglia Pinelli

Nella giornata stessa del 12 Giuseppe Pinelli fu prelevato e portato in via Fatebenefratelli. Per Pietro Valpreda ci sarà l’arresto. E’ trasferito subito a Roma. Il 16 dicembre. Fu riconosciuto da, Cornelio Rolandi. Quest’ultimo, un tassista, intascò una taglia di 50 milioni.

Cornelio Rolandi

Nelle ore successive all’attentato gli eventi si accatastarono portando a conseguenze, con ombre mai dissolte. Ancor oggi fanno discutere. Le complicazioni nelle indagini si accentuarono con la morte di Giuseppe Pinelli. Il ferroviere si trovava in una stanza della Questura di Milano. Sul fatto che egli si sia volontariamente gettato dalla finestra per schiantarsi al suolo sono stati sollevati molti dubbi. Di certo, se fosse rimasto in vita sarebbe stato un teste importante, in un’istruttoria giudiziaria, per chiarire la vera matrice della bomba. La valutazione sulla radice delle azioni terroristiche, infatti (sotto la pressione degli organi di controinformazione e di fronte a dati oggettivi) cambiò direzione e orientamento: con un clamoroso salto in asse, dal versante anarchico si spostarono su elementi del neofascismo.

Luigi Calabresi

Una pista la cui verosimiglianza appariva molto più marcata, via via che si susseguivano le acquisizioni probatorie (molto di più che circostanziali) ed emergevano figure con trascorsi politici assai più inquietanti rispetto a quelle di un ballerino d’avanspettacolo e un povero ferroviere idealista. La magistratura cercò di fare piena luce e nonostante gli sforzi non sempre riuscendovi. Del resto i giudici giunsero a delle sentenze che (di fatto) confermerebbero il complotto messo in atto per rovesciare, in senso autoritario, l’assetto democratico del Paese.

Qui la cronaca va ben oltre il periodo che abbiamo in esame. In un susseguirsi di processi, iniziati a Catanzaro nel 1972 (sede scelta per legittima suspicione*) le aule in cui si svolsero le udienze cambiarono in continuazione. Si è trattato di una vera Odissea dibattimentale: dopo Catanzaro; Bari (1984); Milano (2000)e ancora Milano (2004).

Tutti i processi si svolsero affrontando i tre gradi di giudizio, fino alle sentenze di Cassazione. Tra una miriade di cavilli e rinvii, prescrizioni varie, condanne all’ergastolo e assoluzioni per insufficienza di prove, mai si riuscì a stabilire l’identità degli autori dell’attentato di quel 12 Dicembre.

Se può servire, ricordiamo che la Corte Cassazione ha affermato, nelle motivazioni: la strage è stata organizzata e realizzata da Ordine Nuovo. Una cellula di neofascisti. La Cassazione non è stata in grado di stabilire esattamente la responsabilità giudiziaria dei singoli, definiti unicamente “ispiratori ideologici”.

Concludiamo, ancora, con una frase significativa raccolta dal libro di Fortunato Zinni:

Il mio impegno a cercare la verità continua con questo libro.
Da qualche parte la verità c’è. Basta cercarla.
Lo devo a quei morti, tutti conoscenti e amici, lo devo a quella gente accorsa sul sagrato del Duomo il 15 dicembre 1969 per sbarrare il passo a chi voleva ricacciare indietro il paese.

Porterò sempre con me il ricordo incancellabile di quegli sguardi e di quell’urlo indimenticabile.
Tanto più assordante perché…muto
I

*Legittima Suspicione: In base a un articolo (il nr. 45) del Codice di Procedura Penale, si può spostare la sede di un processo a fronte di gravi situazioni esterne, potenzialmente condizionanti un regolare svolgimento del dibattimento.