Ospite di una rassegna dedicata all’evoluzione dell’informazione e del giornalismo, Paolo Liguori si racconta in esclusiva a Milano City Rumors
A dispetto di 75 anni suonati, Paolo Liguori continua a lavorare a tempo (quasi) pieno con l’entusiasmo di un ragazzino. Insegna in due università prestigiose come IULM e LUMSA, studia l’evoluzione dell’informazione e del giornalismo con la sensazione di chi ha imparato molto senza avere mai imparato abbastanza.
“In questo mestiere se ti fermi sei morto – spiega Paolo Liguori, creatore e direttore di TGCom24 – e io personalmente ho visto molte persone che hanno scelto di mettersi da parte all’ennesimo cambiamento di un lavoro che è completamente cambiato. Sia da un punto di vista narrativo che tecnologico…”
In cinquant’anni è cambiato tutto. Tutto molto più veloce e frenetico. Molta quantità nella quale si fatica a cercare la qualità. Ma ci abbiamo guadagnato? “Io di sicuro sì – risponde Liguori con il gusto della battuta – ho trascorso una vita che dal punto di vista professionale ne vale almeno quattro. In parte è stato effetto del cambiamento, che ho scelto di abbracciare e di condividere”.
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Siamo informati meglio? Di più? “No, non ne sono per niente sicuro. In questo senso credo che l’evoluzione sia stata più quantitativa che qualitativa. Il cambiamenti anzi… i molti cambiamenti, abbracciati con curiosità, mi hanno portato a riscontrare che al momento l’offerta è maggiore dal punto di vista quantitativo. Ci sono molte più notizie. Non necessariamente questo vuol dite che sia un bene. Servono alcune condizioni necessarie che non sono mai sufficienti: e molto dipende dall’individuo. Non solo da chi scrive. Ma anche da chi legge, avere la curiosità di leggere tutto il codice, tra le righe. E sforzarsi di capire…”
Oggi si può ancora imparare a fare il giornalista? “Sicuramente c’è meno voglia di insegnare, ma credo ci sia anche molta meno voglia di imparare. C’è una certa frettolosità. Oggi molti si improvvisano in un mestiere che fondamentalmente è ancora una cosa estremamente seria, e non può essere sottovalutata. Quello di giornalista non è più un ruolo, ma uno status. E secondo me chiunque può pensare di essere o di fare il giornalista. Magari anche con delle qualità e una proposta nuova. Ma poi alla fine a volte vedo che quello che cerco di insegnare è quasi in conflitto con le persone, soprattutto giovanissimi, ai quali mi rivolgo. Il giornalismo, l’informazione, ha ancora delle regole che vale la pena spiegare e applicare. Sarebbe opportuno che queste stesse regole fossero ancora valide per tutti, al di là dei click o della viralità di una notizia”.
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Coerenza e serietà si imparano ancora? “No, quelle non si insegnano. O ce l’hai o non ce l’hai. Si impara a essere precisi, determinati, rigorosi in un una certa maniera di scrivere e di cercare le informazioni. Ed è un esercizio che devi mantenere per tutta la vita”.
Tra essere influencer che vogliono fare i giornalisti e giornalisti che vorrebbero guadagnare quanto un influencer, Paolo Liguori propone un altro mestiere: “Scrivere cronaca per la tv, cronaca che possa diventare approfondimento, e perché no fiction. In questo momento in Italia c’è una notevole ricerca di questo settore e pochissime persone in grado di farlo. I documentari che abbiamo visto, come quelli sul caso di Yara Gambirasio, non prodotti giornalistici. E non fiction. Moltissimi prodotti americani arrivano al mercato con concetti e stile giornalistico. Poi il settore audiovisivo li rende popolari e di massa. Ma il contenuto è sicuramente un approfondimento degno del miglior prodotto giornalistico…”
La cronaca insomma ha e avrà sempre di più un valore narrativo… “Assolutamente sì, ci sono aspetti della vita reale, e dunque di cronaca, che diventano fiction proprio per la loro potenza narrativa. Così come ci sono prodotti di narrativa che non avranno mai la forza di un fatto realmente accaduto. Sotto questo aspetto la cronaca offre moltissimi spunti…”