Sul caso dei cecchini del fine settimana di Sarajevo, tra i documenti consegnati ai pm di Milano emergono liste, viaggi organizzati e contatti italiani. L’esperto: “Se fossero centinaia, sarebbe un sistema strutturato”.
Irina Čišić aveva un anno quando, il 12 ottobre 1993, fu colpita e uccisa da un cecchino mentre camminava con la madre Stana per le strade del quartiere Ciglane di Sarajevo.
“Non abbiamo mai capito perché qualcuno abbia sparato a un bersaglio di 50-60 centimetri, che è l’altezza di una bambina di un anno, e non a un bersaglio più grande, mia moglie, che era molto più facile da colpire“, ha raccontato il padre di Irina, Samir, a Radio Free Europe (Rfe). Da oltre trent’anni i genitori di Irina stanno cercando la verità sull’uccisione della loro bambina, avvenuta durante l’assedio di Sarajevo.
Il sospetto è che Irina sia stata assassinata per caso, o per divertimento. Sui cosiddetti cecchini del weekend nei giorni scorsi la Procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo d’inchiesta dopo la denuncia del giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni. Quest’ultimo ha consegnato ai magistrati un corposo fascicolo con le prove e le testimonianze raccolte del fatto che, tra il 1993 ed il 1995, a Sarajevo stranieri benestanti pagarono i miliziani serbi per poter sparare sulla popolazione durante l’assedio.
L’utilizzo dei cecchini per fiaccare la popolazione di Sarajevo, che si opponeva al nazionalismo serbo, è ben documentato. Ora c’è da comprendere se, insieme ai miliziani, a colpire i cittadini inermi c’erano anche cittadini stranieri che pagavano per sparare. L’assedio di Sarajevo costò la vita a 11.541 civili (tra cui 1.601 bambini). Molti cecchini erano appostati sulle colline vicino all’insediamento di Grbavica, allora sotto controllo serbo.
L’ipotesi è che sia esistito un vero e proprio “safari” con tanto di tariffario per l’uccisione di bambini, donne, uomini e anziani. Un orrore al quale avrebbero partecipato anche numerosi italiani. “La presenza di cecchini stranieri è un fatto consolidato e ben confermato. – ha detto, in esclusiva per MilanoCityrumors.it, Claudio Bertolotti, ricercatore di StartInsight – Che questi stranieri non fossero mercenari, ma addirittura soggetti disposti a pagare per un ‘safari’ crudele, è un altro discorso. Non conosciamo l’entità del fenomeno. Da ciò che emerge, sarebbe avvenuto, ma finché l’indagine non sarà conclusa, restiamo sul piano delle ipotesi”.
Le indagini della Procura milanese, che si sta avvalendo della collaborazione del Ros dei carabinieri, si preannunciano tutt’altro che semplici. Negli atti a disposizione dei magistrati si parlerebbe di almeno duecento cecchini italiani che avrebbero pagato fino a cento milioni di lire per prendere parte al safari. Individui facoltosi provenienti da Torino, Milano, Trieste, tra i 30 ed i 50 anni. Arrivavano in Bosnia-Erzegovina a bordo di furgoni e oltrepassavano i posti di blocco con il pretesto della missione umanitaria.
“Se fossero uno, due casi, sarebbe comunque preoccupante ma non un fenomeno. – ha continuato Bertolotti – Se i numeri fossero più elevati, allora sì: potremmo parlare di un mercato della morte, con persone disposte a uccidere donne, bambini, civili che non avevano alcun ruolo nella guerra. E dall’altro lato un’organizzazione capace di portarli sui luoghi e, in alcuni casi, farli addirittura pagare. È preoccupante, ma purtroppo non sorprende: la guerra tira fuori il peggio dell’animo umano. E lo fa nonostante esistano regole ferree, spesso ignorate”.
Stando alla denuncia, i cecchini del weekend provenivano da tutta Europa. Venivano trasportati sulle colline intorno a Sarajevo attraverso una sorta di agenzia di viaggi. Gli obiettivi non venivano uccisi subito ma gravemente feriti, in modo tale che le persone che giungevano in soccorso potessero essere colpite. La vicenda è descritta anche in un documentario del 2022 chiamato appunto Sarajevo Safari.
“Il cosiddetto Viale dei Cecchini oggi si può visitare, è in pieno centro urbano a Sarajevo. – ha sottolineato il ricercatore – È costellato di ricordi di quegli eventi: i palazzi più alti erano i punti da cui molti cecchini sparavano, si nascondevano e poi scappavano. Una situazione disastrosa, in cui le Nazioni Unite non riuscivano a garantire una protezione adeguata. Alcuni soldati Onu furono persino vittime del cecchinaggio. Era una minaccia incontrollabile”.
Un testimone ha parlato di “cacciatori di uomini” stranieri (americani, canadesi, russi e italiani) disposti a pagare per “giocare” alla guerra. I viaggi sarebbero stati effettuati tramite l’infrastruttura di una compagnia aerea charter e turistica serba, che aveva una filiale a Trieste. Uno dei membri dell’organizzazione sarebbe un uomo già condannato per crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
PER APPROFONDIRE: Pagavano per uccidere, inchiesta della Procura di Milano: chi sono gli italiani che sparavano “per divertimento” a Sarajevo
“Cosa accadeva in quegli anni? C’era una città sotto assedio. – ha dichiarato Claudio Bertolotti – Bisogna immaginare uno dei posti più freddi e umidi sulla faccia della terra, dove la popolazione bosniaca, serba e in generale bosniaca cercava di sopravvivere in un ambiente urbano in cui da una parte c’erano le milizie che si fronteggiavano, dall’altra una forza di interposizione con mandato Onu, che cercava di frapporsi tra le parti.
In tutto questo, una guerra civile latente proseguiva: attentati, uccisioni mirate, gruppi criminali legati alle milizie armate che cercavano di conquistare potere, assenza di un governo locale capace di garantire protezione. La popolazione civile era quindi doppiamente esposta: ai danni dell’assedio, che limitava l’accesso ai beni essenziali, e alla minaccia costante dei famosi cecchini, pronta a colpire chiunque fosse fuori da casa.
Il cecchinaggio è terrorismo: serve a imporre la volontà su una popolazione civile che cerca di sopravvivere. Colpiva soprattutto i quartieri musulmani, ma senza distinzione reale: si colpiva chiunque. Il terrore ha fiaccato la popolazione e l’ha anche incattivita. Le vittime e i loro familiari, spesso legati alle milizie, hanno portato avanti vendette, rappresaglie, ritorsioni. La guerra civile è andata avanti: non è mai davvero finita.
Ancora oggi, camminando per Sarajevo o visitando il Museo dell’Assedio, lo si percepisce nitidamente. Se cammina per strada si vedono donne di 60 anni senza denti o con cicatrici profonde sul volto: sono gli effetti della guerra. Donne stuprate, messe incinte di proposito e poi sfigurate per non poter più essere accettate dalla loro comunità. Ecco il risultato della guerra”.