Nel caso delle due psicologhe di Alessia Pifferi indagate per falso e favoreggiamento dal pm Francesco De Tommasi, una delle due professioniste risponde alle accuse mosse dal pubblico ministero con una lettera furiosa. “Io umiliata. Non lavorerò mai più…”
Ha preso una posizione la dottoressa Paola Guerzoni, una delle due psicologhe indagate dal pm di Milano Francesco De Tommasi per falso e favoreggiamento nel caso dell’omicida Alessia Pifferi. La psicologa tramite una lettera risponde sui fatti a lei contestati dal magistrato.
La missiva rappresenta l’unica testimonianza rilasciata da una delle due psicologhe del carcere di San Vittore dopo l’esplosione del caso. La professionista prima di oggi non ha risposto ad alcuna domanda formulata dal pubblico ministero milanese De Tommasi.
Le due dottoresse che si erano occupate del caso di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio della figlia di 18 mesi, Diana, lasciata morire di stenti in casa da sola per sei giorni, sono ora indagate insieme all’avvocata dell’imputata, il legale Alessia Pontenani.
Ha scritto di suo pugno una concisa e perentoria lettere indirizzata al pubblico ministero Francesco De Tommasi con l’obiettivo di chiarire a gran voce la sua posizione dopo le accuse mosse a suo carico dal pm. La psicologa Paola Guerzoni, attualmente indagata insieme ad una collega e all’avvocatessa dell’imputata Alessia Pifferi, per favoreggiamento e falso, nella sua lettera esprime tutta la sua rabbia per l’accaduto.
A commentare le parole scritte nero su bianco è il legale della donna, l’avvocato Mirko Mazzali, che come riporta anche MilanoToday, ha dichiarato: “Non credo ci sia accanimento, contesto le valutazioni e pongo problema come cittadino. Può la magistratura dire che siccome hanno sbagliato a fare un test questo sia un reato? Può decidere che se l’avvocato difensore che si attiva o gioisce se ottiene una consulenza questo sia un reato? Secondo me no, questo è il tema di questa indagine”.
Secondo quanto riferisce il legale dell’indagata, la sua cliente, la dottoressa Guerzoni ha raccontato di essere affranta e basita. La psicologa scrive in un passo della sua missiva, riferendosi alle perquisizioni avvenute in casa sua: “Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi per motivi che fatico a comprendere…Ho vissuto un trauma personale”. La professionista ha poi concluso la lettera giurando di non voler mai più lavorare in un carcere. “Trascinarmi a San Vittore dalla porta carraia come i detenuti, scortata a vista, messa in una situazione dove tutti hanno potuto osservare la scena, agenti, detenuti, colleghi… questo ha avuto il solo scopo di umiliarmi”.
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L’avvocatessa Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi, è accusata, insieme alle due psicologhe del carcere di San Vittore, di aver prodotto una relazione falsa per avere una perizia psichiatrica utile al processo. La legale, due giorni fa, a la Repubblica ha dichiarato: “Sono molto tranquilla, non ho fatto niente di male. E non rinuncio assolutamente all’incarico. Alessia Pifferi ormai è un’amica, abbandonata da tutti. In carcere le porto cibo, vestiti e soldi. E se potessi, la porterei a casa mia. Penso che abbia un deficit cognitivo importante. La relazione delle psicologhe contestata dai pm sul suo basso quoziente intellettivo? Venne realizzata prima della mia nomina”.
Poi, in riferimento allo stato mentale della Pifferi, il legale commenta: “Ho scoperto del quoziente intellettivo di Pifferi quando ho chiesto la sua cartella clinica a San Vittore. È ovvio che avevo già intenzione di chiedere una perizia psichiatrica: con un reato di quel tipo mi pareva dovuto, una morte così atroce aveva bisogno di un approfondimento. Quando ho ottenuto la cartella ho mandato subito le carte al pm, che mi ha ricevuto nel suo studio. Mi ha detto che la mia assistita secondo lui era una lucida criminale. Ho ribattuto che a me di lucido pareva ci fosse ben poco. La vedevo già tutte le settimane”.
Infine, sulle due psicologhe di San Vittore, Pontenani chiarisce al quotidiano: “A Pifferi avevo detto che con le psicologhe non dovevano più vedersi né chiamarsi, prima che qualcuno potesse pensare che veniva influenzata. Mi sembrava pacifico che non dovessero più andarci. Se viene fuori che non è vero e che ha finto con le psicologhe e anche con me, sono una vittima pure io. Ma le psicologhe che motivo avrebbero avuto di aiutarla?”