Coronavirus e inquinamento, quale collegamento?

Uno studio elvetico ha dimostrato la correlazione tra i picchi di polveri sottili nell’atmosfera e l’incidenza del coronavirus.

Il progetto è stato portato avanti da un team interdisciplinare dell’Università di Ginevra e dallo spin-off dell’Eth di Zurigo Meteodat.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Earth Systems and Environment.

Lo studio ha preso quindi in esame l’area del canton Ticino, dove si è registrato un forte aumento dell’inquinamento alla fine di febbraio 2020. Nello stesso periodo, è seguito un incremento dei ricoveri ospedalieri per covid-19 altrettanto repentino. C’è da dire che a questa diffusione del virus hanno contribuito anche i festeggiamenti per il carnevale che avevano fatto arrivare in zona circa 150 mila persone.

L’aumento delle polveri sottili, normalmente è favorito dal raffreddamento della temperatura dell’aria oltre che dal ristagno provocato dalle nebbie che si formano. Ne consegue che il controllo sulle concentrazioni di polveri fini possa contribuire a limitare futuri focolai epidemici.
Una correlazione simile, a detta degli epidemiologi, è già stata riscontrata in relazione alle normali ondate influenzali.

Il team di ricerca svizzero ha poi mostrato che le concentrazioni di particolato inferiore a 2,5 micrometri provocano infiammazioni delle vie respiratorie, polmonari e cardiovascolari.
Quindi, ha spiegato Mario Rohrer, ricercatore presso l’Istituto di scienze ambientali della Facoltà di scienze dell’Unige e direttore di Meteodat: “In combinazione con un’infezione virale, questi fattori infiammatori possono portare a una grave progressione della malattia”.

“Inoltre il coronavirus- ha aggiunto – può anche essere trasportato dalle particelle inquinanti.
Questo è già stato dimostrato per l’influenza e uno studio italiano ha rilevato l’Rna del coronavirus sul particolato. Tutto questo resta da dimostrare, ovviamente, ma è una possibilità probabile”.

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