La Milano di piombo del commissario Spada

Prendiamo un giornalista, capace di scrivere sceneggiature che paiono reportage di cronaca nera e affianchiamogli un disegnatore in grado di creare tavole che sembrano muoversi come i fotogrammi di una pellicola. Furono queste le premesse che portarono alla creazione di una serie da annoverare tra le massime espressioni fumettistiche italiane del suo tempo.

Il commissario Spada, nato dalla collaborazione tra Gianluigi Gonano e Gianni De Luca, è una serie a fumetti che fu pubblicata dal 1970 al 1982 sulla rivista cattolica “Il Giornalino”. Segue le vicende di un funzionario di polizia intelligente e capace, mosso da un senso del dovere che lo porta a mettere il suo lavoro davanti a tutto. Padre vedovo di Mario, un ragazzo ribelle e spavaldo ma pervaso da un profondo senso della giustizia. Una relazione basata sul costante tentativo di comprendersi nonostante l’evidente contrasto generazionale e ideologico (espediente con fine educativo per i ragazzi a cui la lettura è rivolta).Lo scenario in cui il commissario Eugenio Spada vive e lavora è la Milano degli “anni di piombo” e come tale viene rappresentata: le contestazioni sindacali, una borghesia decadente e viziata, la malavita, il terrorismo… Le tematiche presenti sui giornali dell’epoca sono state trasportate nel fumetto con un realismo e una imparzialità tale per cui il lettore non si sente in obbligo a tifare per l’eroe o ad odiare l’antagonista ma empatizza con entrambe le parti.

I disegni sono un capolavoro stilistico: dettagliati fino al minimo particolare e pieni di trovate tecniche che donano pathos e dinamismo alla storia, ad esempio disegnando gli stessi personaggi più volte all’interno di una vignetta per offrire l’illusione del movimento (espediente utilizzato anche da Don Rosa), oppure utilizzando più vignette per ottenere un disegno totalitario.

Il bilanciamento tra i due autori e le loro peculiarità ci dona una retrospettiva quasi perfetta del periodo storico. L’unica pecca notabile consiste in una eccessiva autocensura nei confronti delle scene violente (comprensibile visto l’editore).

 

 

La pubblicazione, nonostante le storie avvincenti e i disegni mozzafiato (che si aggiudicarono il premio “Yellow Kid” nel 1971), non è stata in grado di trovare il suo spazio nell’immaginario collettivo e sopravvive oggi solo grazie alle raccolte da collezione per nostalgici.

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