Il nome del progetto è una parola filippina che significa “papà” e che ricorre nell’opera in due modalità. Sottoforma di suono con le 12 voci di padri che cantano la ninna nanna al proprio bambino, fino quasi a sovrapporsi e attraverso il video di un padre che culla il suo piccolo tra le braccia.
A proposito dell’opera, Stefano Boeri, presidente di Triennale ha spiegato: “La videoinstallazione di Marina Ballo Charmet è una poetica e raffinata riflessione sul tema della paternità in cui suono e immagine si intrecciano e si rafforzano a vicenda per riportare a voci e gesti privati, personali, afferenti alla sfera del quotidiano, ma al contempo universali e ancestrali”.
Chi è l’artista
Marina Ballo Charmet si cimenta con la fotografia e il video dalla metà degli anni Ottanta affiancando questa attività a quella di psicoterapeuta nei servizi territoriali pubblici di Milano.
Le sue personali e collettive sono state esposte in musei e istituzioni in Italia e all’estero tra cui Istituto Italiano, Madrid; MAGA, Gallarate; Musée Unterlinden, Colmar; Museo del Novecento, Milano; MACRO, Roma; Triennale Milano, Milano; Fotomuseum, Winterthur; Centre National de la Photographie, Parigi e Storefront for Art and Architecture, New York.
Charmet è anche autrice di libri e cataloghi.
Tatay si potrà visitare in Triennale fino al 28 novembre.