I fatti risalgono al mese di agosto dello scorso anno, il suicida era in stato di fermo in attesa di essere identificato e si trovava all’interno di una delle camere di sicurezza. Nella ricostruzione del gip si osserva la negligenza dei due agenti addetti alla custodia, entrambi giovani e alla prima esperienza, nel monitorare gli schermi della videosorveglianza perché impegnati a occupare “la maggior parte del tempo utilizzando ciascuno il proprio telefono cellulare o conversando”.
Una condotta, si legge ancora, che ha portato a “una franca sottovalutazione del rischio che si stava concretizzando sotto i loro occhi e a concentrarsi, invece, su adempimenti meno noiosi o sul loro telefonino”.
Una posizione aggravata dallo stato di agitazione del soggetto che una volta entrato nella stanza della Questura aveva iniziato a colpire le pareti con calci e pugni, un episodio che, da solo, avrebbe dovuto indurre a una sorveglianza rafforzata. A complicare il quadro c’è poi il lasso di tempo trascorso tra il suicidio e la sua scoperta. Ovvero l’uomo ha avuto tutto il tempo – circa un’ora – per legare la maglietta alle grate della finestra e dare corso al suo intento suicida. Dopo il gesto estremo sono trascorsi altri 40 minuti prima che la sorveglianza si accorgesse dell’accaduto.
Il gip ha però riconosciuto che nella dinamica dei fatti sono intervenuti anche fattori esterni: “Certo non vi è dubbio che all’esito fatale hanno contribuito altre responsabilità, prime fra tutte quelle di aver consentito che in una camera di sicurezza vi fossero sbarre orizzontali alle finestre, certamente congegnali per chi abbia intenti suicidari”.
Per questo episodio la Procura aveva chiesto l’archiviazione del caso.