Ritirata la licenza a un tassista, secondo i giudici la sua condotta è stata dolosa. Ecco la truffa del filo azzurro, che trucca le corse dei taxi
Taroccava le corse del proprio taxi, quindi alzava il costo delle tariffe che applicava ai clienti: per questo motivo, un tassista che lavora a Milano ha dovuto rinunciare alla licenza per via della condotta illecita e vietata. La truffa è quella del “filo azzurro”: ecco come veniva usato.
Il tassista in questione riusciva ad alterare il sensore odometrico del tassametro, cioè il sistema che misura i chilometri percorsi dal taxi sulla base dei giri delle ruote e quindi calcola il prezzo che deve pagare il cliente, impostando una velocità a suo piacere del tutto indipendente da quella a cui andava il taxi. Di conseguenza, riusciva a far lievitare i costi a danno dei clienti: ecco però i dettagli e com’è stato scoperto.
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A smascherare il tassista sono stati gli stessi clienti. Le prime segnalazioni, infatti, risalgono al marzo del 2021: i clienti che effettuavano abitualmente un percorso, si rendevano conto che quando prendevano quel determinato taxi i prezzi erano decisamente più alti. Gli agenti della polizia locale di Milano che opera proprio sui Ncc e sui taxi, quindi, hanno subito iniziato a controllare l’Audi A4 del tassista segnalato ed hanno scoperto tutto.
Sotto al tappetino, hanno trovato un piccolo strumento nero a forma di parallelepipedo collegato al tassametro mediante dei fili. Schiacciando un tasto, si attiva un sistema che altera la rilevazione della distanza percorsa dal mezzo e quindi fa salire il costo della corsa sul display letto dal cliente.
Dopo la scoperta del sistema di truffa, gli agenti hanno affidato le indagini ai tecnici della società Digitax e al Politecnico di Milano. La pratica è stata descritta come evidentemente truffaldina e a niente sono valse le giustificazioni, portate in aula dagli avvocati del tassista, relative alla crisi del settore e ai vantaggi di poco conto scaturiti da questo sistema.
Il tassista, quindi, è stato radiato e a niente è servito il ricorso al Tar che, il 20 luglio 2022, gli ha dato torto. Inutile anche l’appello al Consiglio di Stato, al quale il lavoratore ha provato a chiedere pietà sostenendo che la sentenza l’aveva “privato dell’unico mezzo di sostentamento proprio e dell’intero nucleo familiare“.