Uno studio tutto italiano nato dalla collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano, il Policlinico e l’Aeronautica militare con l’Istituto di medicina aerospaziale di Milano, ha dimostrato che esiste una molecola i cui livelli nel sangue, sono in grado di stabilire se un paziente affetto da coronavirus svilupperà o meno una forma grave della malattia.
Questo il risultato al quale è giunto un team multidisciplinare di esperti, guidato da Giovanni Marfia e coordinato da Stefano Centanni e Laura Riboni e pubblicato sulla rivista “Embo Molecular Medicine”.
La molecola in questione, misurabile con un semplice prelievo, si chiama sfingosina-1-fosfato e interviene in molti processi cellulari tra cui lo sviluppo e l’integrità vascolare, il transito dei linfociti e i processi infiammatori.
Si è osservato che se questa molecola scende sotto una certa soglia, ci sono alte probabilità di complicanze ai danni di polmoni, fegato e rene oltre a un persistente stato di infiammazione che scatena una risposta abnorme del sistema immunitario.
Il lato positivo della scoperta è che si tratta di un marcatore osservabile sin dall’insorgere dei primi sintomi di coronavirus, permettendo così di avere un elenco di gravità per paziente utile anche per le cure successive.
“Un altro risvolto importante di questo studio – ha sottolineato Centanni – è che la sfingosina-1-fosfato può essere considerata un nuovo bersaglio terapeutico, sia in termini di ripristino dei normali livelli circolanti, sia nel potenziamento dei protocolli terapeutici in quei pazienti a più alto rischio, consentendo anche una migliore allocazione delle risorse sanitarie”.
“Siamo orgogliosi del team di ricerca che si è creato e che ha portato a questo importante traguardo”, ha aggiunto Giuseppe Ciniglio Appiani, attuale Capo del servizio sanitario dell’Aeronautica Militare –
“Come rappresentanti delle Forze armate abbiamo partecipato attivamente a servizio del Paese per la gestione dei focolai Covid durante le fasi più critiche dell’emergenza in Lombardia.
Ci fa onore essere riusciti a contribuire a questo importante studio scientifico che potrà sicuramente avere un impatto rilevante nella gestione dei pazienti”.