Caso Uva: la sorella Lucia assolta dall’accusa di diffamazione

Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva morto dopo una notte passata in caserma a Varese nel giugno del 2008, è stata assolta dall’accusa di diffamazione rivolta verso alcuni degli imputati coinvolti nel processo che seguì a quella morte.

Le accuse di diffamazione coinvolgevano anche Alberto Biggiogero, uno dei testi principali del processo e altre 6 persone tra direttori di testate e giornalisti e si riferivano ad affermazioni fatte nel corso della trasmissione “Linea Gialla” del 2013.

Il processo sul caso Uva partiva proprio da alcune lesioni rinvenute sul corpo dell’uomo che avevano indotto a pensare a un pestaggio avvenuto in carcere. Per questo episodio era dunque partita l’indagine che aveva coinvolto due carabinieri – Paolo Righetto e Stefano Dal Bosco – e sei poliziotti, Vito Capuano, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Focarelli Barone, Bruno Belisario e Gioacchino Rubino.
Riferendosi ad alcuni tra gli imputati Lucia Uva aveva quindi usato parole come “massacrato” e “seviziato” rimediando così la denuncia.

Giuseppe Uva era un artigiano di Varese di 43 anni e la sera del 13 giugno era in giro insieme a Biggiogero. I due erano ubriachi e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti quando avevano iniziato a spostare alcune transenne in una piazza cittadina. Si erano allontanati all’arrivo dei Carabinieri salvo poi rivolgere la loro attenzione verso un cassonetto. Quando i militari avevano chiesto i documenti per le generalità Uva si sarebbe rifiutato dando in escandescenza. Era quindi scattato l’arresto che aveva portato i due in caserma dove erano stati separati. Uva sarebbe rimasto sul posto per diverse ore prima di essere trasferito in ospedale per ricevere un trattamento sanitario obbligatorio. In realtà il giorno successivo morì per arresto cardiaco.

La sorella Lucia sostenne da subito la tesi del pestaggio in carcere e questo diede avvio all’inchiesta che coinvolse i militari. Nei vari gradi di giudizio che seguirono, in cui furono coinvolti anche alcuni medici del pronto soccorso e della guardia medica, il castello accusatorio venne progressivamente smontato tanto che l’esito processuale, nel 2019, fu l’assoluzione di tutti gli imputati con la formula “il fatto non sussiste”.

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