A distanza di sette anni dal loro ultimo passaggio a Milano, The Cult tornano live al Carroponte per rinsaldare un rapporto davvero esclusivo con la città e i loro fan
“Ci definiscono superstiti e magari è una delle tante etichette che ci hanno appiccicato che può anche essere corretta. Ma siamo semplicemente un prodotto di quello che abbiamo scelto di vivere e di produrre, oggi come quarant’anni fa. Lungi da noi l’impressione di essere una cover band di noi stessi…”
Non è mai banale Ian Astbury, leader dei The Cult, band che festeggia in effetti quest’anno 40 anni di attività dalla sua fondazione e che ha attraversato epoche ed ere rivoluzionarie sopravvivendo al passaggio da analogico a digitale, da CD a streaming, dai video ai social. The Cult suonano sabato sera al Carroponte di Sesto San Giovanni una tappa fondamentale che li riporta in Italia.
Proprio le etichette sono una delle cose che ad Ian Astbury e Billy Duffy, chitarrista e fondatore della band, non sono mai piaciute. Nati come rock band hard che si ispirava ai superclassici anni ’60 e ’70 (Led Zeppelin ma soprattutto Marc Bolan e i T-Rex) i The Cult sono stati sdoganati tra rock and roll e persino metal con derive pop non indifferenti. Una band che dal vivo offre una esperienza davvero molto significativa e che a Londra passa in quasi tutti i club, sempre e comunque, con alcuni dei suoi classici.
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Conosciuti per la loro fusione di elementi post-punk, hard rock e gothic rock, i The Cult si sono evoluti moltissimo per poi tornare alle origini.
Nati nel 1983 dai Southern Death Cult, band ultimamente Duffy e Astbury stanno riproponendo anche come marchio, i The Cult toccano il loro primo grande success con l’album Love del 1985 che includeva il singolo She Sells Sanctuary. E da qui la band si è ritrovata all’improvviso nei grandi festival ad aprire per supergruppi come Guns and Roses o Iron Maiden mantenendosi però sempre molto fedeli a se stessi. Gli album Electric (1987) e Sonic Temple (1989) li definiscono ancora maggiormente soprattutto con brani come Love Removal Machine e Fire Woman che consolidano la loro reputazione di band dinamica, versatile.
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Nonostante i vari cambiamenti nella formazione e le mutazioni nella direzione musicale, Astbury e Duffy mantengono le loro quote e guidano nel corso degli anni tra alti e bassi commerciali ma in modo estremamente coerente dal punto di vista artistico, l’evoluzione della band.
Il più recente viaggio musicale dei The Cult segna un capitolo davvero significativo della loro carriera. Il loro nuovo album Under the Midnight Sun mostra una band che, pur rimanendo radicata nel proprio suono estremamente iconico e tradizionale, non ha paura di esplorare nuovi territori. Il titolo stesso evoca immagini di oscurità e mistero, un tema ricorrente nella musica dei The Cult, ma suggerisce anche un senso di rinnovamento ed esplorazione.
Under the Midnight Sun è una culminazione di anni di esplorazione musicale, fondendo l’energia grezza dei loro lavori precedenti, in particolare degli esordi, con temi più maturi e introspettivi.
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L’album presenta una miscela di potenti inni e brani più riflessivi: tracce come Mirror e A Cut Inside dimostrano la capacità dei The Cult di creare canzoni che sono al contempo inquietanti ma anche di ispirazione su temi che parlano di rinnovamento, resilienza e trasformazione.
Elemento chiave nel nuovo periodo di rinascita della band è la produzione, affidata a Tom Dalgety, (Ghost e Royal Blood) che si è limitato a dare una veste più attuale ma non troppo elettronica al suono della band dove sono chitarre e sezione ritmica a mantenere la quota più alta. Unitamente al vero tratto distintivo del lavoro del gruppo, la voce di Astbury, potente ed evocativa,
Il tour non si limita a promuovere Under the Midnight Sun: lo show, un paio d’ore davvero intense, offre spunti importanti nei quali i brani capisaldo della band occupano uno spazio rilevante, su tutti Rain e Fire Woman.
In un periodo storico dove tutto suona già sentito e già detto i The Cult incassano una specificità che è merce rara e che ha fortemente influenzato la stragrande maggioranza delle band che sono uscite dalle costole del post-punk e del grunge negli ultimi anni. Molto gli devono Queens of the Stone Age – anche loro passati da Milano non molto tempo fa – e quasi tutte le band che guardano alla tradizione come a un valore da rileggere.
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In tutto questo, altra merce rara, spicca il rapporto solido tra Ian Astbury e Billy Duffy, i due veri garanti della band accompagnati da John Tempesta alla batteria con i due ultimi ingressi, il bassista Charlie Jones – collaboratore di lunga data di Robert Plant e Jimmy Page – e il tastierista Mike Mangan, uno dei migliori interpreti in circolazione del suono Hammond. Un vero fenomeno.
In apertura dello show, previsto alle 21.30, si esibirà Jonathan Hultén, polistrumentista svedese noto anche per la sua attività nel campo delle arti grafiche e illustrative.
* In the Clouds
* Rise
* Wild Flower
* Star
* Mirror
* The Witch
* The Phoenix
* Resurrection Joe
* Edie (Ciao Baby)
* Sweet Soul Sister
* Lucifer
* Fire Woman
* Rain
* Spiritwalker
* Love Removal Machine
BIS
* Brother Wolf, Sister Moon
* She Sells Sanctuary