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I nostri film uscivano nel periodo di Natale e avevano degli incassi enormi, quindi erano tutti contenti, erano film che andavano bene e si è seguito a farli.
(Castellano e Pipolo)
Castellano e Pipolo, all’anagrafe Francesco Castellano e Giuseppe Moccia (padre dello scrittore e regista Federico Moccia), hanno iniziato il loro lungo percorso nel cinema italiano alla fine degli anni ’50, firmando come sceneggiatori 76 film, è come registi 20. Passano alla regia agli inizi degli anni ’80, con molte commedie disimpegnate, con un occhio ai classici americani e l’altro al portafoglio, ridando il sorriso ai produttori con una serie di grandi successi commerciali, puntando sulla simpatia di Adriano Celentano e Renato Pozzetto. Tutti i loro film sono stati diretti dalla coppia a giorni alterni, un giorno dirigeva Castellano, il giorno successivo Pipolo, e così via, lasciando disorientati gli attori, ma concedendo ai protagonisti di improvvisare sul set, ottenendo il loro benestare per una miglior riuscita della scena.Nel 1984 realizzano uno dei titoli di maggior successo della loro filmografia: “Il ragazzo di campagna“, interpretato da Renato Pozzetto, con al suo fianco Massimo Boldi che così ricorda:
“Nello stesso periodo ho fatto anche: ‘I due carabinieri‘, con Verdone e Montesano, e tutti e due i film hanno avuto un grandissimo successo, è da questi film è partita la mia carriera cinematografica veramente in senso assoluto”.
Arrivi a 75 anni e pensi che… che ” la vita l’è bela ! “. Ho mandato a cagare più io in tutta la storia del cinema italiano che nessun altro. Ma si sa… Il “Vai a cagare pirla” oggi non lo si usa quasi più. Chi riesce a fregarsene dei problemi poi alla fine vince sempre.
(Renato Pozzetto)
Quando arrivano alla ribalta un bell’uomo o una bella donna, piacevole a vedersi, tutti li proteggono. Uno che non è bello, non affascinante, viene buttato giù.
(Massimo Boldi)
Artemio vive in un piccolo paese il campagnolo lombardo, abitato principalmente da anziani, dove l’unico passatempo è osservare il passaggio del treno del venerdì.
La madre desidererebbe tanto vederlo sistemato con Maria Rosa, l’unica ragazza del luogo innamorata di lui. Nel giorno del suo quarantesimo compleanno decide di non voler continuare a fare il contadino per il resto della vita, quindi sceglie di lasciare tutto e di tentare la fortuna partendo per Milano.
Arrivato in città, non sapendo dove andare, chiede aiuto al cugino Severino, trasferitosi a Milano anni prima che gli offre ospitalità e lavoro, ignorando che in realtà è un ladruncolo che entra ed esce di prigione e che a sua insaputa, lo coinvolge in uno scippo prima ai danni di una anziana signora, e poi di una ragazza. Resosene conto, abbandona il cugino e restituisce la borsa alla legittima proprietaria, Angela, una giovane e bella ragazza, e tra i due nasce un’amicizia. Artemio nel frattempo si accorge di essersi innamorato di Angela, tanto da proporle di sposarlo dopo una notte passata insieme, ma la ragazza rifiuta dichiarandosi moderna e non adatta a un simile passo. Disperato, e senza soldi, tenta il suicidio gettandosi nel naviglio, ma viene salvato da un losco personaggio che gli propone di lavorare per lui vendendo droga agli studenti davanti alle scuole. Indignato rifiuta mandandolo via in malo modo e, ormai deluso dalla vita di Milano, comincia a inveire contro la città e i suoi abitanti costringendo la Polizia a fermarlo, rimandandolo al suo paese dove ritornerà a fare il contadino. Un giorno riceve inaspettatamente la visita di Angela che si dimostra disponibile verso la sua vecchia proposta di nozze. Ma Artemio decide di trascorrere la sua vita insieme a l’unica donna che lo ha amato fin da principio per quello che è, ovvero Maria Rosa, e di vivere con lei per sempre: “Contadini e contenti”.
Le sequenze relative alla vita di Artemio, nelle campagne della pianura padana, nel film vengono identificate nel Borgo Tre Case, frazione di Borgo Dieci Case, località inesistente, in realtà situata a Ca Ad Badò, un luogo vicino a Molino d’Isella, frazione di Gambolò, nella provincia di Pavia. L’arrivo di Artemio col trattore a Milano è stato girato in corso Vittorio Emanuele, all’altezza di piazza San Carlo, per poi proseguire alla vicina Piazza San Babila. L’incontro tra Pozzetto e Boldi avviene alla fine di Corso di Porta Ticinese, tra le colonne di San Lorenzo. I due scippi, a bordo della vespa, sono stati realizzati in via Leonida Bissolati, con vittima la vecchietta, è in via Slataper, con vittima Angela, e lavora come impiegata in un ufficio in Piazza Einaudi, poco dietro all’ex grattacielo della Regione di via Melchiorre Gioia. il ponte sul Naviglio dove Artemio cerca di suicidarsi, è quello in via Ludovico il Moro, davanti alla ex fabbrica Richard Ginori. Renato Pozzetto tornerà a lavorare con Castellano e Pipolo, nel 1985, in : “È arrivato mio fratello“, sempre ambientato a Milano.
Ma questa è un’altra storia…
Joe Denti