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Il mio sogno era diventare un grande clarinettista di jazz, Ma un giorno della nostra orchestra arrivo a Lucio Dalla.
All’inizio non mi preoccupava più di tanto perché mi pareva un musicista modestissimo, e invece poi ha manifestato una duttilità, una predisposizione, una genialità del tutto impreviste.
Mi ha tacitato, zittito, messo all’angolo. Io a un certo punto ho anche pensato di ucciderlo buttandolo giù dalla Sagrada Familia di Barcellona perché si era messo in mezzo tra me e il mio sogno.
(Pupi Avati)
Il bolognese Giuseppe Avati, noto con Il nomignolo “Pupi“, inizialmente tenta una carriera nel jazz, dal 1959 al 1962 fa parte della “Doctor Dixie Jazz Band“, come clarinettista, ma rinuncia dopo l’ingresso nella band di Lucio Dalla. Successivamente lavora per 4 anni come rappresentante della “Findus Surgelati”, quelli che ricorderà come i 4 anni peggiori della sua vita. Illuminato dalla visione di “Otto e 1/2“, di Federico Fellini, sceglie la strada nel cinema debuttando coraggiosamente alla regia, con “Balsamus, l’uomo di Satana“, a cui seguirà “Thomas e gli indemoniati“, entrambi da lui scritti e sceneggiati, girati in Emilia Romagna, la sua amata terra che spesso sarà ambientazione della sua filmografia. Si cimenta in questo genere, il giallo horror, intrecciato con il grottesco, che si adatta alla sua personalità realizzando nel 1975: “La casa dalle finestre che ridono“, vero e proprio cult movie per gli appassionati, titolo che gli vorrà la definizione di “Maestro del gotico Padano”.
Probabilmente se chiediamo a Maurizio Costanzo, ad Antonio, mio fratello e a Gianni Cavina, sceneggiatori di Bordella, come nasce il film, direbbero motivazioni diverse.
Io sono certo invece che nasce dal aver visto: “Piccoli omicidi” un film diretto da Alan Arkin nel 1971, che si permise di vedere come il cinema di genere, trasportato, sforzato in una chiave surreale estrema, producesse un modo di far ridere e divertire in un modo molto originale.
Su iniziativa del segretario di stato americano Henry Kissinger, nasce negli Stati Uniti: “L’American Love Company” una multinazionale del sesso riservata alle donne. La filiale italiana con sede a Milano, viene affidata ad un italo americano che organizza il bordello allestendo un ricco campionario di bizzarri tipi maschili, per soddisfare le voglie delle signore in cerca dell’equivalenza tra sesso e felicità.
Con “Bordella”, diretto nel 1976, Pupi Avati realizza un film dissacrante, grottesco, a tratti decisamente caricaturale, divertendosi a ironizzare sui tabù della mercificazione del sesso a pagamento. Sceneggiato con un fratello Antonio, Maurizio Costanzo, e Gianni Cavina, con le coreografie firmate dall’artista messicano Tito Le Duc, il regista emiliano come protagonista sceglie l’attore hollywoodiano, di origini italiane, Al Lettieri, spesso impegnato in ruoli di violento gangster nelle pellicole poliziesche, rivale di Steve McQueen, Charles Bronson e John Wayne, per poi interpretare il personaggio di Virgil Sollozzo, influente signore della droga in “Il padrino“, di Francis Ford Coppola. Al suo fianco un giovanissimo è scatenato Christian De Sica, Gianni Cavina e Gigi Proietti.
Il film è dedicato a Al Lettieri, come recita la didascalia iniziale, morto improvvisamente, al termine delle riprese, stroncato da un infarto, all’età di 47 anni.
L’America spaccia felicità! Voglio che quel fesso di stivale formicolii di luci dalle Alpi alla Sicilia.
(Vincent Gardenia)
La pellicola si apre, su una musica composta da Amedeo Tommasi, autore di numerose colonne sonore dei film diretti da Pupi Avati, con delle immagini di repertorio dedicate al segretario di stato Henry Kissinger, per poi ritrovarlo, interpretato da Vincent Gardenia, sorprendentemente assomigliante, nel suo ufficio di New York, e illustra il suo progetto a Al Lettieri, doppiato da Carlo Croccolo.
Le immagini dedicate a Milano sono state realizzate tra Piazza del Duomo, Corso Vittorio Emanuele e Piazza Mercanti. Pupi Avati tornerà a girare a Milano con un cortometraggio collegato alla nuova Accademia di Belle arti.
Ma questa è un’altra storia…
Joe Denti