È finalmente arrivato nelle sale italiane il nono e, a detta del regista, penultimo film di Quentin Tarantino. C’era una volta… ad Hollywood (Once upon a time… in Hollywood in lingua originale) vuole essere, così come il titolo fa intendere, una fiaba dei tempi moderni. Seguendo il filone “nostalgico” tipico dei nostri tempi, Tarantino ci porta indietro nel tempo di cinquant’anni per raccontare degli eventi realmente accaduti ma focalizzandosi maggiormente sulle atmosfere e sul sentimento generale di un periodo che fu, anche a causa degli avvenimenti narrati nel film, uno spartiacque tra due epoche.
Nonostante cercherò di analizzare la pellicola escludendo il più possibile informazioni circa la trama se ne consiglia la lettura a seguito della visione per non rovinarsi il film.
La principale caratteristica che contraddistingue Quentin Tarantino come regista è la sua grande passione per il cinema e immensa cultura cinematografica: iniziò la sua carriera come commesso in un videonoleggio, è proprietario del New Beverly Cinema (cinema citato in questo film) e negli anni ha aiutato a lanciare la carriera di artisti come Robert Rodriguez e Eli Roth. Questo grande amore che lo porta ad essere un fan prima che un regista, si è spesso riflesso all’interno della sua filmografia ma raggiunge, con questa pellicola, la sua massima espressione. La narrazione è pervasa da numerosi aneddoti e riferimenti alla storia del cinema, citazioni a film e telefilm (a partire dal titolo stesso) e una costante autoreferenzialità (tipica del regista). Nonostante l’opinione che ognuno di noi può avere è indubbio che questo film è un gioiello nel campo del metacinema.
Una delle regole base nella costruzione di un buon film è la seguente: ogni avvenimento deve avere uno scopo o un motivo ben preciso. In un film narrativamente complesso, come è C’era una volta… ad Hollywood si ha spesso la sensazione di trovarsi di fronte a una serie di eventi fini a loro stessi, posti in sequenza ma senza un nesso logico; Tarantino è però uno sceneggiatore eccelso e riesce a collocare ogni singolo avvenimento del film all’interno di un finale mozzafiato, regalandoci un film dalla scrittura impeccabile, unica eccezione sono la continua presenza di piedi nelle inquadratura, il suo personale feticismo.
Il fiore all’occhiello di questo film è senza dubbio la fotografia: l’impeccabile lavoro di Robert Richardson (collaboratore di Tarantino dai tempi di Kill Bill) ci permette di godere di una Los Angeles colorata e allegra così come gli anni ‘60 vengono ricordati nell’immaginario collettivo, in perfetto contrasto con la malinconia che pervade i personaggi.
Forte di un cast eccezionale, magistralmente diretto, C’era una volta… ad Hollywood ci racconta la storia, ci allieta con la fantasia e ci esalta con l’estetica per poi ricordarci, con i titoli di coda, che era tutta una finzione e che nella realtà non si può vivere per sempre felici e contenti.