Rita Trevisan è stata ritrovata dopo mesi di ricerche: l’86enne, morta in un canale a Baranzate, era scomparsa nel febbraio scorso. Il figlio parla davanti alle telecamere per la prima volta.
Rita Trevisan può riposare in pace. Forse. Di riposo per alcuni, anzi quasi tutti, sembrava prematuro parlare. All’inizio, ovvero nel febbraio scorso (al giorno 4) era solo scomparsa. I dubbi sono cominciati a salire sin dalle prime ore di ricerca. Subito dopo sono diventati giorni, poi settimane e infine mesi. Lei – conosciuta a Baranzate – era andata a trovare una parente che abitava nelle vicinanze. Oggi quella donna è ancora lì, ma Rita Trevisan non c’è più.
Il corpo senza vita dell’86enne è stato ritrovato da alcuni cittadini in fondo a un canale. Chiamati immediatamente i soccorsi, sono cominciate le prime supposizioni. Indossava gli stessi vestiti del giorno in cui è scomparsa: rinvenuti anche borsa e cellulare che usava poco, un modello di quelli vecchi.
Ancora utile per telefonare, però, peccato che dal 4 febbraio scorso, presumibilmente, non ha più squillato. L’autopsia sul corpo della donna chiarirà le cause del decesso. Si pensa, dopo aver escluso la violenza per via dei mancanti segni di colluttazione sul corpo, che possa essere caduta nel canale.
Nel frattempo il figlio, come il resto della famiglia, fa i conti con il dolore. Il mondo cade addosso alle anime che restano: altro non conta. “Speriamo sia stato un incidente” – racconta il figlio Roberto Zara – inizialmente si era pensato ad altro. “Ho sempre ritenuto si fosse trattato di un sequestro, spariscono migliaia di persone in questo modo”, conclude il figlio.
Leggi anche: Arese, Brumotti minacciato di morte durante un servizio per Striscia la Notizia: caos fuori dal centro commerciale
Ora si apre un’altra pagina: quella relativa alle indagini, perchè i dubbi su questa morte – avvenuta dopo mesi di silenzio – restano ancora molti. Sullo sfondo le lacrime di una famiglia senza piangere speranza, ma con tanta voglia di lottare. Resistere per capire ed evitare: il dolore come esperienza non è una consolazione, può diventare tuttavia una possibilità.