Una recente decisione del Tribunale di Bologna sta facendo discutere proprietari di animali e condomini in tutta Italia.
La pronuncia, l’ordinanza n. 11396 del 27 ottobre 2025, stabilisce che quando i disturbi provocati da un cane superano determinati limiti, il magistrato può ordinare l’allontanamento dell’animale dall’abitazione. La sentenza solleva interrogativi importanti sul delicato equilibrio tra il diritto a tenere animali domestici, tutelato dalla riforma del condominio del 2012, e quello degli altri residenti alla tranquillità e alla salute.

Non si tratta di un caso isolato, ma di un precedente destinato a influenzare numerose controversie condominiali, ponendo nuove e precise responsabilità in capo ai proprietari di cani che vivono in appartamento. La vicenda bolognese dimostra come il possesso di un animale domestico comporti doveri concreti e non possa mai trasformarsi in un diritto assoluto che calpesta le esigenze altrui.
Quando l’abbaiare diventa intollerabile: i limiti acustici da rispettare
Il proprietario di un animale domestico ha obblighi precisi e inderogabili verso i vicini di casa. Secondo la normativa vigente e la giurisprudenza consolidata della Cassazione, i rumori provocati dal cane non devono superare il livello di normale tollerabilità previsto dall’articolo 844 del Codice Civile. Nel caso esaminato dal Tribunale bolognese, le misurazioni fonometriche hanno rilevato un rumore medio di 54,6 decibel, con picchi che arrivavano addirittura a 68,5 decibel durante i momenti di maggiore agitazione dell’animale.

L’elemento davvero determinante è stato il differenziale acustico: quando il rumore supera di oltre tre decibel quello di fondo ambientale, si configura automaticamente un disturbo intollerabile secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 4848/2013. Nel caso specifico, il differenziale era di ben 18 decibel, un valore sei volte superiore alla soglia consentita.
I latrati continui, specialmente nelle ore notturne e durante il riposo pomeridiano, non rappresentano quindi una semplice “scomodità” da sopportare con pazienza, ma una violazione concreta e grave dei diritti fondamentali dei condomini.
Le conseguenze sanitarie e le misure d’urgenza del tribunale
Quando il disagio si trasforma in danno alla salute psicofisica, il giudice può e deve intervenire con provvedimenti immediati. Nel caso bolognese, il condomino disturbato ha presentato certificati medici e documentazione clinica che attestavano una sindrome ansioso-depressiva reattiva, insonnia cronica persistente e necessità di assumere farmaci ansiolitici e antidepressivi per gestire lo stress quotidiano.
Il diritto alla salute, solennemente tutelato dall’articolo 32 della Costituzione come diritto fondamentale della persona, prevale quando viene messo a rischio in modo grave, continuativo e documentato. Il tribunale ha quindi ordinato lo spostamento immediato dei cani in altro luogo idoneo, applicando anche una penale di quindici euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine giudiziale.
Questa misura coercitiva indiretta, prevista dall’articolo 614-bis del Codice di Procedura Civile, serve a garantire l’effettiva e rapida attuazione del provvedimento. La sentenza sottolinea con chiarezza che il semplice risarcimento economico dei danni non basta a tutelare adeguatamente la vittima: quando è in gioco la salute fisica e psichica di una persona, occorrono misure concrete e immediate che rimuovano definitivamente la fonte del disturbo.





