Dalla morte di Simonetta Cesaroni sono trascorsi quasi 34 anni. Il delitto di via Poma è rimasto per troppo tempo avvolto nel mistero. Chi ha ucciso la 20enne? Ora le indagini si spostano a Varese
Disattenzioni, sottovalutazione di elementi e una incapacità degli investigatori hanno portato il killer di Simonetta Cesaroni ad essere, dopo 34 anni dal fatto, ancora libero. Da quel martedì del 7 agosto 1990 quando la 20enne fu trovata morta sul pavimento in una stanza dell’appartamento-ufficio al terzo piano di via Carlo Poma al civico 2 a Roma, nuda eccetto che per il reggiseno e dei calzini bianchi, le indagini non hanno portato all’assassino.
La ragazza lavorava per l’Aiag, Associazione italiana alberghi della gioventù, due pomeriggi la settimana come segretaria contabile. Sul cadavere di Simonetta 29 sono state le ferite rinvenute e provocate da un corpo contundente simile a un tagliacarte. A distanza di anni, ora le indagini si spostano da Roma a Varese.
I nuovi elementi a Varese
La novità sul delitto di via Carlo Poma risale a pochi mesi fa e riguarda il laboratorio criminologo del professore Franco Posa, chiamato “NeuroIntelligence”. Il prof. Posa, esperto di criminologia, nel delitto di via Poma è consulente per l’avvocato Federica Mondani legale della famiglia Cesaroni.
La svolta arriva da Varese perché è qui che ha sede il laboratorio “NeuroIntelligence”. Diverse le ipotesi inedite sul caso di omicidio. I risultati del lavoro di Posa e della sua giovane equipe sono frutto di lunghe rielaborazioni su sofisticati software. Ovviamente, ricordiamo che tali risultati non sono ancora accolti dalla Procura di Roma.
Il movente del killer
Quel modo di infierire dell’assassino sulla vittima, con ripetizione e violenza, sembrano ricondurre il killer ad una figura che la stessa 20enne conosceva già e che per lungo periodo l’avrebbe perseguitata. Magari l’avrebbe pedinata, molestata, inseguita, infine uccisa violentemente.
Potrebbe essere, dunque, un movente sessuale la base del delitto? Questa è un’ipotesi da non escludere. Dopo il decesso, il medico legale stabilì la fascia oraria della morte che avvenne tra le 17.30 e le 18.30. Poi il condominio, sito nella zona Nord della città.
La palazzina che ospitava poche persone e che, inoltre, confinava con una palazzina che all’epoca dei fatti (e forse anche oggi) forniva appartamenti e uffici a personale dei Servizi segreti. Ed è per questo motivo che la lista dei testimoni cercati dalla polizia fu molto ridotta. Non si doveva dar “fastidio” a certe persone.
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I 5 punti “oscuri” del delitto di via Poma
Dieci anni fa (febbraio 2014) fu assolto in Cassazione il fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco. Due anni fa, (marzo 2022) la riapertura del fascicolo d’indagine. Nel 1990 vennero isolati alcuni punti “oscuri” che resistono nel tempo. Si parte dal primo:
- L’agenda rossa di Pietro Vanacore: trovata fra gli effetti personali di Simonetta. L’agenda apparteneva a Pietro, il portinaio del condominio di via Poma che anni dopo si sarebbe suicidato per cause sconosciute.
- Il soggetto ignoto e le chiamate. Un uomo cercò di mettersi in contatto telefonico con Mario Macinati, fattore del presidente dell’Aiag che, in quel periodo si trovava fuori Roma. Le chiamate dell’ignoto risalivano a due orari precisi. La prima dalle 20.30 alle 21, la seconda intorno alle 23, quando Paola, sorella di Simonetta, ancora non aveva trovato il corpo senza vita della sorella.
- Il datore di lavoro di Simonetta. Il telefono di Salvatore Volponi quella sera risultò occupato dalle 20.30 alle 21.
- La scena del crimine. Dopo l’uccisione l’assassino ripulì la stanza d’ufficio togliendo la maggior parte degli indumenti di Simonetta anche se macchie ematiche rimasero depositate nella stessa stanza.
- Nessuna riesumazione della salma. Come ha fatto notare il prof. Posa, secondo quanto riporta stamani anche il Corriere della Sera, dopo la morte violenta per cui Simonetta ha cercato di lottare per la vita, non è stato mai riesumato il cadavere della 20enne. Inoltre, proprio la tipologia della bara e degli abiti della persona morta, come sottolinea Posa, “nonché l’ambiente che si viene a ricreare in quello spazio angusto, possono consentire un forte rallentamento dell’opera di deterioramento anzi conservando delle tracce”.