Ora o mai più. Lo si è detto e pensato spesso, in passato, ma quest’anno più di altri, per l’Olimpia Milano, vale il concetto per cui non c’è svolta che si possa ritardare. L’Italia è terreno bello e importante da conquistare e i tifosi biancorossi di lungo corso certo non possono dimenticare il vuoto ventennale di vittorie tra lo scudetto dei Nando Gentile, Blackman, Bodiroga e quello dell’altro Gentile, Alessandro, fino al più recente trionfo tricolore con Cinciarini capitano e Goudelock protagonista dei playoff. Significa, però, che troppo male si è fatto in quelle lunghe stagioni, che troppo tempo si è aspettato per rimettere in sesto un cammino disastrato, divenuto nuovamente glorioso nelle sue tinte tricolori grazie alla pazienza e passione di Giorgio Armani e a scelte tecniche finalmente figlie di una potenza economica (nonché di buone intuizioni) all’altezza del blasone societario.
Quella svolta attesa, tutti sanno, si chiama Europa. Eurolega. Un palcoscenico che solo nel primo anno con Banchi a Milano è sembrato non uno spauracchio ma un teatro in cui poter dire la propria, tanto da arrivare a giocarsela più che alla pari nei quarti di finale contro il Maccabi Tel Aviv, futuro campione d’Europa, uscendo per mancanze e sfortuna quando il duplice talento di Langford e Gentile stava per trovare una simbiosi complicata da incastrare. A qualche anno di distanza quella parola, talento, tanto importante nel basket se fatta seguire dall’adeguata volontà di farne fruttare le potenzialità, è diventata predominante in squadra.
I riflettori sono diretti in più direzioni, ma uno è in particolare il destinatario delle speranze milanesi: Mike James. L’inseguimento per accaparrarselo è stato lungo, ma in prestagione il play ha fatto capire perché Livio Proli non si sia arreso alle prime difficoltà. Due giorni fa, nel torneo di Cagliari contro il Fenerbahce, complici le molteplici assenze ha giocato per quasi 40′ con numeri da trascinatore: 17 punti, 6 rimbalzi, 11 assist, 5 recuperi. Ovvio che il test non fosse per forza leggibile come un anticipo di quella che sarà la realtà: i turchi non avevano i due azzurri (Datome e Melli) e diversi altri interpreti impegnati con le Nazionali, la stessa Milano aveva una formazione di fortuna. Aver però cominciato a mettere un bel punto esclamativo battendo una delle compagini più accreditate del panorama continentale (79-74) serve al morale, alla convinzione di poter davvero arrivare a dire la propria, ben oltre l’ultimo e il penultimo posto delle due recenti campagne europee.
Ci sono ancora altre tappe per arrivare all’inizio degli impegni in cui si giocherà qualcosa, giorni e partite in cui Pianigiani lavorerà ancora di più sull’amalgama di un gruppo che anche quest’anno ha dovuto cambiare qualcosa, pur mantenendo uno zoccolo duro. Era giusto farlo, vista la possibilità di arrivare a innesti che possono fare la differenza: oltre a James i vari Nedovic, Brooks (chi ha visto le due gare di qualificazione della Nazionale contro Polonia e Ungheria si è fatto un’idea dell’energia che può dare), Burns e Della Valle, più il rientrante Fontecchio. Elementi molto diversi tra loro, capaci di portare ognuno caratteristiche mancanti al vecchio roster e che bene dovrebbero sposarsi con quelle di chi è stato confermato, dalle “Due Torri” Tarczewski e Gudaitis, affiatati e intercambiabili, all’esperienza di un Cinciarini che sempre più sta dimostrando di aver trovare maturità e affidabilità ben oltre i possibili limiti al tiro. E poi l’intelligenza di Micov, le mani di Bertans, l’enorme talento finora inespresso a Milano di Kuzminskas, fino a “The Shot”, Curtis Jerrels. E’ nella storia dell’Olimpia per un celebre tiro in una serie di finale scudetto contro Siena. Sarebbe bello, per le Scarpette Rosse, riprendere a scrivere le stesse pagine sbarcando nell’Europa che conta.