Gli ha fatto perdere la testa. Quante volte avete udito questa frase? Nei film ma anche nelle conversazioni tra comari o al bar con gli amici. Oggi vogliamo mettere in evidenza quel lato del cinema (al femminile) per imporre la figura della donna fatale. Quella che non lascia scampo.
I meno attempati si figureranno lo spericolato accavallar di gambe della protagonista Sharon Stone, in Basic Instinct(1992) titolo originale del film diretto da Paul Verhoeven. Siamo sicuri: la bravura e la bellezza della Stone sono fuori discussione ma per raggiungere gli apici di altre eroine (forse) dovrà trovarsi un regista dal tocco magico. Diciamo, un Alfred Hitchcock. E con un film diretto dal maestro si comincia la carrellata delle donne che non lasciano scampo, nemmeno nella fuga.
Se poi si è sofferenti di vertigini come lo era il povero detective, James Stewart, in La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) converrete che la situazione si complica. Kim Novak, la cui bellezza stranierebbe chiunque fino (ed oltre) la labirintite, si cimenta in duplice ruolo di maliarda senza (finta) memoria e tiene in scacco Stewart per tutto il film. Per non rovinare la sorpresa, a chi non avesse ancora visionato questa straordinario lavoro hitchcockiano, non diremo come va a finire.
Hollywood aveva creato una vera galleria di donne da guardare e specialmente, da cui guardarsi. Quasi sempre, se c’erano di mezzo i soldi. Ogni tanto, tuttavia, le troviamo anche follemente innamorate e a loro volta disposte a dare tutto. In ogni caso, il maschilismo hollywoodiano trovava pane per propri denti perché la maggior parte delle attrici, chiamate a ruoli così caratterizzanti, nella vita erano assai più determinate che nello schermo. Di certo forgiate dalle numerose violenze alle quali avevano tentato di sottrarsi (spesso non riuscendovi) imposte dal potere di uno star system. Ancora vigente, purtroppo.
Andiamo avanti e torniamo a noi, anzi alle dark ladies.
Basta fare mente locale e andare alla vera cronaca giudiziaria di quegli anni. Quella del distretto di Beverly Hills, ad esempio, per ritrovare la bionda, Lana Turner, invischiata in una storia di omicidio. Accadde quando il suo amante, Johnny Stompanato (1925-1958) un piccolo gangster italo-americano, scagnozzo del boss, Mickey Cohen, fu trovato senza vita e con un coltello nel costato nell’appartamento di Los Angeles di proprietà dell’attrice. L’uccisione sarebbe stata ad opera della figlia minorenne della Turner, Cheryl Crane, intervenuta per difendere la madre dalle violenze di Stompanato. Per alcuni fu un versione di comodo. La procura decise diversamente e la giovane andò assolta con un verdetto per legittima difesa.
Dalla realtà alla fantasia e viceversa, fate voi.
La Turner aveva interpretato la moglie insoddisfatta di un commerciante greco nella versione del film capolavoro italiano, intitolato Ossessione (di Luchino Visconti,1943) con Clara Calamai e Massimo Girotti. Gli americani lo chiamarono con l’originale titolo del romanzo di, James Cain, Il postino suona sempre due volte (The Postman Always Rings Twice, con la Turner c’era John Garfield) la cui trama riporta il reciproco tradimento anche tra amanti.
Emblematica, in questo senso, fu Marlene Dietrich (in double face) nel ruolo di Christine. Ella fa in modo che Tyron Power venga assolto dall’accusa di omicidio di una ricca vedova, sapendolo comunque autore del delitto, per poi ucciderlo senza pietà quando scopre la di lui intenzione di lasciarla per una donna più giovane. Il film è Testimone d’accusa ( Witness for Prosecutions, 1957) un giallo splendente di Billy Wilder, il quale a dispetto del suo meraviglioso curriculum da commediografo, si concedeva (di tanto in tanto) qualche licenza per descrivere uccisioni e misfatti.
Con altrettanta immedesimazione, nella parte della donna fatale, la Dietrich, non ci pensò due volte a sputtanare il presidente, John Kennedy, rivelando una loro “botta e via” e mettendo a nudo (è proprio il caso di dirlo) i suoi acciacchi di guerriero stanco e bisognoso di riposo.
Come niente affatto docili furono Bette Davis e Barbara Stanwych. La Davis, nel ruolo di Margo, nonostante la sua sicurezza, da grande star del teatro, viene messa ai margini dalla più giovane e intrigante Eva (Anne Baxter) che la soppianta per poi, a sua volta, venir superata da un’altra ancor più giovane e disposta a tutto quanto (e di più) non lo fosse stata lei. Insomma, in Eva contro Eva (All Abaut Eve, di Joseph Mankiewicz, 1950) vi troviamo “un summa” degli stili comportamentali hollyoodiani.
Regina del noir, Barbara Stanwych, ha portato i propri personaggi a livelli stratosferici, mettendo in luce (come nessun altra) l’immagine della perversione, sublimandola attraverso un’interpretazione fisica dalla cui eloquenza non si può prescindere e tocca, giocoforza, affidarle il volto della dark lady. La figura e gli occhi da mostrare, nei corsi di cinema e nelle scuole di recitazione, sono della Stanwych. Il film da cui trarre le perle di un classico thriller è: La Fiamma del peccato (Double Indemmnety, 1944) sempre sotto la guida del giocoso Billy Wilder, il quale non fa mancare la caratteristica over voice, cioè la voce narrante fuori campo. E anche qui ritorna a suonare il postino dato che il soggetto molto si avvicina alle scansioni dei film (perché furono più d’uno) come quello con Lana Turner e la molto successiva versione, di Bob Rafelson.
In quest’ultimo caso, gli amanti maledetti avevano le sembianze di Jack Nicholson e Jessica Lange. Ma la storia perse molto smalto, nonostante le pellicola a colori, anche perché la Lange, sebbene molto sexy ancora appariva, agli occhi del pubblico, come la protagonista che fa la doccia nella mano del King Kong, creato dal genio degli effetti, Carlo Rambaldi ((1925-2012 )in un film del 1976 proposto con la regia di John Guellermin.
Ad accendere La fiamma del peccato è la nostra Barbara Stanwych. Porta un nome da campanellino (Phyllis) ancora più fuorviante quando scoprirete come fa innamorare di sé un povero agente delle assicurazioni. Il piano è semplice. Far stipulare una polizza milionaria al di lei marito, farlo fuori e scappare con il malloppo. Un frescone come, Fred MacMurray, non ci mette molto a cadere nella rete e i due quasi ce la fanno a sparire con i soldi. Ma arrivano i nostri. In pratica è un solo uomo, Edward G. Robinson, pignolo impiegato addetto a risolvere i contenziosi. Sarà lui a risolvere il caso. Le succitate signore, fuori dallo schermo, non si peritavano di condurre un stile di vita libero e in contrasto con i pregiudizi ancor oggi persistenti. Consentito, a dire il vero, solo a chi possedeva molto denaro. La Stanwych, la Davis, la Dietrich e la più brava e cattiva di tutte, Joan Crawford, si davano esplicitamente a emancipanti manifestazioni di omosessualità e bisessualità, intollerabili per Hollywood, come per qualsiasi convenzionale e bacchettona società. Anche se non siamo certi che avessero lo stesso corretto atteggiamento, nei confronti delle loro donne di servizio, i gesti delle Ladies Blue Eyes assumevano il tono di chiare denunce (in quegli anni di maccartismo onnisciente) contro l’intolleranza. Verso chiunque venisse praticata. Joan Crawford, ottenne un grande successo con Johnny Guitar (così anche in originale) di Nicolas Ray (1954) la cui storia richiama esattamente la grettezza del localismo, la gelosia per il proprio recinto, l’esclusività nei sentimenti.
Qui la Crawford porta il nome di Vienna. Possiede un casa da gioco, situata nel bel mezzo di un pezzo di terreno dove dovrebbe passare la ferrovia. Gli allevatori locali sono fortemente contrari al progetto e sono capeggiati da un’altra donna, Emma. La cui parte è recitata con grande trasporto dall’ottima, Mercedes McCambridge, soprattutto perché non amava molto, anche nel mondo al di fuori della celluloide, la nostra Joan. Detto per inciso, la Crowford era odiatissima anche da Bette Davis, oltre che da due dei suoi figli. Tutto cadde a fagiolo per Nick Ray. Il regista sfruttò a pieno l’autentica disistima tra le rivali. Ebbene: Vienna difende il suo locale, aiutata da Johnny Logan (Sterling Hayden) detto “Guitar”,già suo amante e uomo abile con la pistola. A dividere le due antagoniste non è tanto la ferrovia ma un uomo, tale Dancing Kid (Ballerino Kid, nella versione italiana) del quale Emma è follemente innamorata. Certo è: il dancer propende decisamente per Vienna. E qui scoppia il dramma. Infarcito di intolleranze e di sovranismo locale assai spinto. Il ballerino è un bandito e assalta una diligenza. Durante la rapina viene ucciso il fratello di Emma che accusa Vienna di complicità e scatena la canea dei locali, sceriffo in testa, contro la proprietaria del saloon, portandola vicinissima la linciaggio. Alla fine le due donne si affrontano (pistola alla mano) e sarà Emma a soccombere. Qui abbiamo due donne contendenti e mai frase più appropriata fu pronunciata, quando uno dei personaggi del film dice: Non ho mai visto una donna che fosse cosi uomo. Poteva valere per la Crawford o per la McCambridge, tanto era lo stesso. La muscolatura di Johnny o il profilo greco di Ballerino Kid, passavano in secondo piano. Emma e Vienna sono, nel film di Ray, le due parti complementari di una temibile unità femminile.
Prima di chiudere questo capitolo ritorniamo dalle nostre parti per porgere un dovuto omaggio a una delle nere signore del nostro cinema. Anche in questo caso non si tratta di un’italiana, purtuttavia come dimenticare la britannica, Tamara Lees (1924-1999 ) perfido contraltare alle eternamente piangenti eroine (quasi tutte innamorate di Amedeo Nazzari) nei nostrani film strappalacrime dei primi anni ’50. Ecco come descrivo le mie donne fatali.
Ma se proprio devo dire il vero, manca proprio quella che non c’è. La mia preferita, in assoluto, è Jessica Rabbit. Quella rossa in Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Who Framed Roger Rabbit? di Robert Zemeckis, 1988) che dice, con voce supersexy: Io non sono cattiva, è che mi disegnano così.
NOTE
Over Voice. Con il termine si intende una tecnica caratterizzata da una voce narrante che susciti nel pubblico l’immaginazione, identificando un “passato” per quanto accaduto o per ciò che sta per accadere. E’ la narrazione in “flash back”. Un esempio viene dalla scena d’apertura, di “Due Ore Ancora” (DOA, 1950)un noir americano di serie B. Un uomo, ripreso di spalle, si presenta alla stazione di polizia e dice:”Una persona è stata uccisa”. “Chi è?” gli chiedono. E lui risponde: “ Sono io”. Basta questo per innestare un racconto la cui trama reggerà sino al termine.
James Maitland Stewart, è più semplicemente, James Stewart (1908-1997) un artefice del grande schermo. Vincitore di due Oscar. Conosciuto, dagli amanti del western, come “L’uomo che uccise Liberty Wallace” (The Man Who Shot Liberty Valance, di John Ford, 1962) ma fu anche nella vita, un intrepido pilota della US Air Force combattendo nei cieli dell’Europa nella II Guerra Mondiale. Interpretò “The Spirit of S. Louis” di Billy Wilder dove faceva la parte di, Charles Lindbergh, primo trasvolatore dell’Atlantico (da New York a Parigi) e si distinse in molti altri lavori, spaziando nei generi, senza mai far perdere smalto alle sue capacità attoriali. Ricordiamo tra gli altri “La finestra sul cortile” (Rear Window, di Hithcock, 1954) a fianco, della non ancora principessa Grace Kelly. Come antagonista aveva Raymond Burr (1917-1993)là cattivissimo assassino e poi bravissimo avvocato o investigatore nella serie di telefilm “Perry Mason” e “Ironside”. James Stewart collaborò a lungo con il grande regista, Frank Capra, primo cantore del New Deal roosveltiano e in politica (quasi in contrappasso) si connotò come conservatore militando con i repubblicani. Stewart fu il primo attore americano (con Winchester 73, 1950) a ottenere un contratto in cui si prevedeva per lui una percentuale degli incassi.
Marylin Pauline Novak, è il nome per esteso di Kim Novak, attrice americana nata nel 1933. Di lei si può dire molto, dato che è stata assai apprezzata dagli studios, specialmente per la possibilità di darle parti da donna bella (nelle notevoli forme) e al tempo stesso rassicurante, solo se facciamo eccezione per “La donna che visse due volte”. L’abbiamo ammirata, generosa e tenera, nel dare il volto a Molly, ne “L’uomo dal braccio d’oro” (The Man With The Golden Arm, di Otto Preminger, 1955) accanto a Frak Sinatra.
Luchino Visconti di Modrone, conte di Lonate Pozzolo, era più semplicemente il regista e sceneggiatore, Luchino Visconti (1906-1976) autore di autentici capolavori: il già citato “Ossessione” (1943); e poi altri che indichiamo sommariamente, “La terra trema” (1948); “Bellissima” (1951); “Senso” (1954); “Rocco e suoi fratelli”( 1960); “Il gattopardo” (1963); “La caduta degli dei” (1969). Suo ultimo film, il pruriginoso “L’innocente” (1976) con Laura Antonelli. Il lavoro di Visconti consentì il successo di molti attori, tra i quali gli allora giovanissimi, Alain Delon ed Helmut Berger.
Clara Calamai (1909-1998) ebbe subito fama nazionale, quando il regista Alessandro Blasetti (1900-1987) la fece apparire a seno nudo in “La cena delle beffe” (1941). Faceva la parte di Ginevra (donna contesa da molti) e con lei recitavano Osvaldo Valenti (1906-1945 )e Luisa Ferida (1914-1945 )La coppia di attori diventati (stupidamente ed incoscientemente)emblema della Repubblica di Salò, poi passati alla storia per la triste fine al momento della liberazione di Milano dai nazi-fascisti. La carriera della Calamai, continuò con film di second’ordine, fino a che non incappò il Luchino Visconti per “Ossessione”. Finì la carriera cinematografica con una parte in “Profondo rosso ” di Dario Argento.
Massimo Girotti (1918-2003) diventò celebre nel periodo in cui il cinema italiano cercava attori in grado di esibire la fisicità caratterizzante i divi di Hollywood. Girotti fu così impiegato (tra il ’41 e il ’43) in parti di giovane muscoloso e spericolato per molte pellicole in costume. “La corona di ferro” (1941) di Blasetti gli valse i vertici nazionali vincendo una Coppa Mussolini a Venezia, superando un pieno di star nostrane, quali Gino Cervi (1901-1974); Elisa Cegani (1911-1996 )la citata Ferida; Paolo Stoppa (1906-1988) e Rina Morelli (1908-1976). Il bel Girotti aprì la strada agli artisti del neorealismo con “Ossessione” ma poi fu bravo attore nel film di Pietro Germi (1914-1974) “In nome della legge” (1950) e con un finale di carriera davvero molto significativo. Apparve, con misura, in “Ultimo tango a Parigi” (1972 ) di Bertolucci e chiuse con una toccante parte in “La finestra di fronte” (2003) di Ferzan Ozpetek.
Ruby Catherine Sevens, più nota con il nome di Barbara Stanwyck (1907-1990) Attrice che si guadagnò un Oscar alla carriera. Sublimi i suoi ruoli da cattiva (pensiamo a “Ballata selvaggia” (Blowing Wild , 1953 con Gary Cooper e Antony Quinn) ma anche brava a farsi spaventare quando costretta a letto dovette far la parte di Leona Stevenson ne “Il terrore corre sul filo” (Sorry, Wrong Number,1948, Anatol Litvak) Va ricordata anche per “Arriva John Doe” meglio conosciuto dai cinefili italiani come “I dominatori della metropoli” (Meet John Doe, 1941, Frank Capra) La Stanwyck è diventata, poi, notevole protagonista nelle serie di telefilm, ad ambientazione western “La Grande vallata” (The Big Valley) dove recitava anche una filiforme e niente affatto maggiorata, Linda Evans, successivamente protagonista in “Dynasty ” nel ruolo di Krystle Carrington. Barbara Stanwyck è stata sposata, per dodici anni, con l’attore americano, Robert Taylor (1911-1969) protagonista, nel 1951, in “Quo Vadis”,di Mervyn Le Roy.
Marie Magdalene “Marlene” Dietrich (1901-1992) fu la grande rivale di Greta Garbo (1905-1990) probabilmente perché lavoravano per due compagnie in concorrenza tra loro. Marlene comincia far la donna fatale in “L’angelo azzurro”, film diretto da Jofes von Stemberg. L’anno di uscita era il 1930 e la Repubblica di Wiemar (1919-1933) stava declinando. La sua Lola Lola sarà irripetibile.
Bette Davis, nella vera vita, Ruth Elizabeth Davis (1908-1989) è stata una grande attrice statunitense, vincitrice di due premi Oscar. Famosa anche per due questioni rimaste irrisolte. Una:il suo odio nei confronti di Joan Crowford (con la quale recitò il memorabile “Che fine ha fatto Baby Jane?” (What Ever Happened to Baby Jane? di Robert Aldrich, 1962) procurandosi qualche grana per una sua pubblica intemerata contro la rivale. Querelle finita in pasto ai giornali in virtù dell’abilità dei promoter degli studios. Va considerato che la Davis militava nella Warner Bros mentre l’altra era la punta di diamante della MGM. Seconda questione: il rifiuto di assumere la parte di Rossella O’Hara per “Via col vento” perché non accettava che il ruolo maschile fosse assegnato a Errol Flynn (1909-1959). Girò anche un film italiano “Lo scopone scientifico”,Luigi Comencini, 1972, con Alberto Sordi, da lei definito (dicono i maligni) un “antipatico provinciale”. Su Bette Davis, esiste una citazione di Bob Dylan, nella seconda strofa della canzone “Desolation Row(Cinderella, she seems so easy/It takes one to know one, she smiles/And puts her hands into her back pockets/Bette Davis style” Tradotto significa: Cenerentola così tranquilla/Ci vuole qualcuno per conoscere qualcuno/sorride e si mette le mani nelle tasche posteriori/in stile Bette Davis.
Fredrick (Fred) Martin MacMurray (1908-1991) con la “Fiamma del peccato” risultò efficace la sua recitazione anche nel ruolo di personaggio negativo. Diciamo “anche” perché, generalmente, McMurray fu più considerato per le sue parti “leggere” nei film della Dysney. Eppure, il suo meglio lo diede quando si trasformò nel bellimbusto capoufficio di Jack Lemmon in “L’appartamento” (The Apartment,1960, Billy Wilder) dove c’era una deliziosa Sherley MacLaine, oppure come l’ufficiale mestatore e bugiardo impersonato in “L’ammutinamento del Caine” (The Cain Munity, 1954,di Edwar Dimytryk). McMurray fu anche un irriducibile sostenitore del Partito Repubblicano e molto legato a Richard Nixon.
Edward G. Robinson, nome d’arte di Emmanuel Goldenberg(1893-1973) di origini rumene, era nato a Bucarest. Si distinse in gangster movie. Sfruttando la sua figura molto attagliata al ruolo, fu un credibilissimo “Piccolo Cesare” (Little Cesar, 1930, Mervyn LeRoy) e altrettanto efficace nel psicolabile boss de “L’isola di corallo” (Key Largo, 1948, John Huston ) dove cercava di fregare la coppia Bogart-Bacall. Con la maturità arrivarono per Robinson ruoli di un certo spessore quali quello nel citato “La fiamma del peccato”. Hollywood lo ha quasi sempre ignorato e tenuto ai margini, fino a pentirsene ed assegnargli un Oscar alla memoria.
Joan Crawford, detta anche Billie, per davvero si chiamava Lucille Fay LeSueur (1905-1977) e nessuno può negarle il volto dell’indipendenza fatta donna. Prima di sposare l’attore, Douglas Fairbanks Jr (1909-2000) fu l’amante del padre dei Kennedy che contribuì in una certa misura al suo lancio. Ma lei ci mise di suo e sfondò diventando una grandissima attrice. La sua vita privata fu caratterizzata da tristi incomprensioni con i figli. Christina, una di loro, fu diseredata e pubblicò un acidissimo e violento libro di memorie, intitolato “Mammina cara” da cui il regista, Frank Perry, trasse un film (Mommie Dearest, 1981) la protagonista fu Faye Dunaway. Joan Crawford diventò una testimonial della Pespi Cola. Cosa non tanto curiosa: era la moglie del proprietario della ditta.
Sterling Relyea Walter ebbe molti nomi ma poi si decise per Sterling Hayden(1916-1986 ) incominciando così fare l’attore. La sua autobiografia intitolata “Il vagabondo” (Wandered) già dal titolo disegnava il suo profilo. Cinque matrimoni, fughe da fisco e la necessità di fare film solo per soldi che non bastavano mai. Nel periodo della Caccia alle Streghee ai membri di Hollywood, presunti comunisti, si mise con John Huston , Huphrey Bogart e Laureen Bacall, per contrastare lo scempio che veniva perpetrato nei confronti di grandi artisti. Successivamente si seppe che si auto denunciò e fece dei nomi. La cosa lotormentò per sempre tanto da arrivare a scrivere nella sua già citata autobiografia “Non avete la più pallida idea del disprezzo che ho avuto per me stesso il giorno che feci quella cosa”. Sterling Hayden fu il contadino capofamiglia dove viveva Olmo (Gerard Deapardieu) in “Novecento” di Bertolucci.
Mercedes McCambridge (1916-2004) vitalissima attrice, capace anche di rendere efficaci profili in parti da donna positiva. Vinse un Oscar come miglior attrice non protagonista in “Tutti gli uomini del re” (All The King’s Men,1949) un film di Robert Rossen.
Jessica Rabbit, si chiama così perché è la moglie del coniglio Roger Rabbit. Non è mai esistita (ma esiste) ed è frutto della splendida fantasia di Gary Wolf. Ha collocato il personaggio nell’immaginario territorio di Cartoonia . Celebre la scena del film (a tecnica mista)in cui è protagonista, Bob Hoskins, dove la rossa cartonata canta “Why don’t you do right” facendolo impazzire desiderio. Il brano, un blues, fu scritto da Kansas Joe McCoy.