L’incidente avvenne otto anni fa a Milano. Il pedone (una 23enne) attraversa la strada a semaforo rosso, il motociclista Vanni Camassa la travolge e sbanda: l’uomo muore sul colpo. La sentenza della Cassazione: “Non è omicidio stradale”
Per i giudici della Cassazione, il comportamento avventato del pedone non provocò la morte del motociclista, il 36enne Vanni Camassa. Il centauro quel 16 maggio del 2016 perse la vita dopo la fatale scivolata sui binari del tram in viale Umbria a Milano.
Con questa motivazione, dopo otto anni dal fatto, la 30enne G.V. viene assolta in via definitiva dall’accusa di omicidio stradale. ha assolto in via definitiva la trentenne G.V. dall’accusa di omicidio stradale.
Era appena scoccata la mezzanotte del 16 maggio 2016, quando all’incrocio tra viale Umbria e corso XXII Marzo. La 30enne, all’epoca studentessa 23enne di Giurisprudenza, esce di casa e attraversa a semaforo rosso la strada. In quel preciso momento da viale Piceno sopraggiunge una moto, è l’Honda guidata dal 36enne Vanni Camassa.
La motocicletta travolge la ragazza e continua la sua corsa, per poi terminare ad alcune decine di metri di distanza. Per il centauro non c’è niente da fare, muore sul colpo. Mentre, il pedone viene trasportato all’ospedale San Raffaele, dove verrà sottoposto a un delicato intervento chirurgico alla testa.
A inchiesta conclusa, la 23enne finisce a processo con l’accusa di aver provocato la morte del motociclista per aver agito con “negligenza, imprudenza e imperizia”, ma in abbreviato viene assolta. Sei anni dopo, febbraio 2022, la Suprema Corte annulla la sentenza e chiede un nuovo giudizio, avvallando l’ipotesi che in secondo grado non sia stata presa in considerazione l’intera dinamica dell’incidente ma solo la seconda parte. Ma la Corte d’Appello arriva alla stessa conclusione.
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Secondo i giudici della Cassazione, il centauro Vanni Camassa quella notte, “pur in presenza di un incrocio segnalato con semaforo, manteneva in orario notturno, nel centro cittadino, una velocità elevatissima, pari a 84 chilometri orari. Inoltre, pur con l’accensione del segnale giallo del semaforo nella sua direzione, non solo non rallentava e non si fermava, ma proseguiva così da attraversare l’incrocio con il segnale rosso.
Pur avendo avvistato il pedone alla distanza di 37 metri, iniziava a frenare solo 5 metri prima dell’impatto, limitandosi a suonare il clacson e, poi, decideva inopinatamente di spostare la traiettoria del mezzo da lui guidato verso sinistra, invadendo la carreggiata opposta”.
Per i giudici, la decisione di spostarsi verso sinistra “non poteva essere determinata dalla necessità di schivare il pedone, perché quest’ultimo, pur avendo colposamente impegnato l’attraversamento pedonale con il semaforo rosso, accelerava l’andatura per raggiungere il marciapiedi ormai prossimo e lasciava libera la carreggiata alle sue spalle”.
Il 30enne, come riporta ancora il Giorno: “Se, pur non fermandosi e mantenendo l’elevata velocità, avesse proceduto diritto nel proprio senso di marcia, sarebbe passato alle spalle del pedone, ove la carreggiata era ormai libera. Le risultanze della consulenza tecnica del pm avevano chiarito che, dopo l’urto con il pedone, il motociclo aveva mantenuto aderenza al terreno per circa 10 metri, non subendo il mezzo alcuna perturbazione nel suo tratto, mentre aveva perso aderenza con l’asfalto nel momento in cui la ruota anteriore andava a lambire tangenzialmente la rotaia del tram, quando il veicolo si inclinava sul lato destro e cadeva su quel lato e, successivamente, deviava verso il marciapiedi di sinistra, continuando a scarrocciare per 50 metri”. In conclusione, secondo i giudici: “Non è stato provato oltre ogni ragionevole dubbio che la morte del Camassa sia dipesa dalla condotta colposa dell’imputata e che l’impatto con il pedone sia stato determinante nella verificazione dell’evento”. Da qui la scelta della Cassazione e la sentenza definitiva per la donna “per non aver commesso il fatto”.