Andrea Beretta, capo ultrà dell’Inter ha raccontato al pm Paolo Storari i dettagli sulla morte di Daniele Belardinelli, investito durante gli scontri del 2019 prima di Inter-Napoli
Emergono nuovi dettagli sulla tragica notte del 26 dicembre 2019, quando Daniele Belardinelli, noto nell’ambiente ultras come “Dedè”, perse la vita durante gli scontri tra tifosi prima della partita Inter-Napoli.
Le dichiarazioni di Andrea Beretta, capo ultrà dell’Inter arrestato per l’omicidio di Antonio Bellocco e ora collaboratore di giustizia, offrono una drammatica ricostruzione di quella serata.
Andrea Beretta ha raccontato a lungo quanto accaduto. La sera del 26 dicembre 2019 inizialmente aveva in programma di recarsi a Pietralcina insieme alla sua compagna: ma cambiò idea per partecipare all’azione contro i tifosi del Napoli. Il capo ultrà dichiara: “Ero io al comando dell’azione in cui Dedè morirà. Se non mi fossi fermato, magari lui sarebbe ancora vivo”.
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Gli scontri si svolsero in via Novara, dove ultras dell’Inter, molto attivo anche in alcuni scontri che lo avevano visto insieme ai tifosi ultrà del Varese e del Nizza, attaccarono alcuni pulmini di tifosi napoletani in arrivo a San Siro. Ma durante l’aggressione, Belardinelli venne investito da un veicolo. Beretta ricorda: “Vedo Dedè a terra che urla come un pazzo, con sangue che gli usciva dalle orecchie e il bacino maciullato. Una macchina gli era passata sopra”.
Beretta ha confessato di essere stato direttamente coinvolto negli scontri, impugnando una torcia e cercando di coordinare l’azione. Racconta che, mentre raccoglieva la torcia caduta, vede un rivale scendere da un furgone e lo riesce colpire facendogli perdere i sensi svenire.
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Tornato poi da Belardinelli, Beretta cercò di soccorrerlo caricandolo su una Polo per portarlo via dalla scena degli scontri… “Quando sono tornato alla mia macchina, la mia compagna si è spaventata vedendomi sporco di sangue. Mi sono cambiato in palestra, sono andato a firmare in caserma e poi siamo partiti per Pietralcina. Ma avevo davanti agli occhi l’immagine di Dedè, tutto sfracellato” racconta Beretta.
Nonostante il tentativo di portarlo in ospedale, Daniele Belardinelli non sopravvive alle ferite riportate. Fu lasciato al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo da alcuni tifosi che cercarono di non farsi identificare. Aveva 35 anni ed era già noto alle forze dell’ordine per precedenti reati legati a manifestazioni sportive. Apparteneva al gruppo ultras del Varese “Blood and Honour” e aveva ricevuto due Daspo in passato.
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Le parole di Beretta non solo gettano luce sugli eventi che portarono alla morte di Belardinelli, ma evidenziano anche la pericolosità delle dinamiche tra tifoserie estreme. Beretta ammette: “Noi volevamo essere i più temuti e i più blasonati ma ci ripenso sempre, se non avessi fatto quell’azione, magari Dedè sarebbe vivo”.
Le dichiarazioni di Beretta sono ora nelle mani della Direzione distrettuale antimafia, che sta indagando sulle dinamiche interne al mondo ultras e sui legami con altre organizzazioni criminali. Il racconto della notte del 26 dicembre 2019 rappresenta un tassello cruciale per comprendere la violenza che circonda alcuni ambienti legati al calcio e solleva interrogativi su come prevenire tragedie simili in futuro.