Il razzismo nel calcio pervade anche i campi di categorie minori: insulti a Pavia durante un match delle giovanili, arrivano i Carabinieri.
Il razzismo nel calcio pervade anche le categorie minori. È successo in Serie A con il caso Acerbi-Juan Jesus e si ripropone anche altrove nella maniera più netta e severa possibile. Lo scenario è sempre lo stesso: una partita di calcio con azioni concitate, falli e spintoni di vario tipo, accompagnati da insulti e modi per divincolarsi.
Normale amministrazione in un campo di ragazzi giovani che provano a mettersi in gioco. Diventa pericoloso e anche controproducente per le società e la comunità quando al posto delle parole pesanti arrivano insulti razzisti. Un ragazzo di 13 anni è stato preso di mira a Pavia, durante il match fra Oltrepò e Albuzzano, gli insulti dal campo sono passati agli spalti.
Al punto che la situazione è diventata insostenibile. Il ragazzo ha fermato il gioco attirando le ire dei genitori e degli altri adulti presenti tra il pubblico. A quel punto il padre del giovane coinvolto ha chiamato le autorità. Le quali però hanno provato a sedare gli animi senza prendere particolari provvedimenti, si sono limitati a identificare le persone che hanno insultato in modo razziale il giovane.
C’è ancora molto lavoro da fare in tal senso da parte delle comunità: il razzismo è una piaga sociale oggettiva ancora non estirpata. Non rimane altro da fare se non proseguire a mandare messaggi di sensibilizzazione, con provvedimenti certi – a qualsiasi livello – per chi trasgredisce le regole. Acerbi per questo ha lasciato il ritiro della Nazionale. Anche a livelli più bassi occorre pensare e (ri)pensare a un codice etico all’altezza in grado di prevenire o bloccare sul nascere certe iniziative, dentro e fuori dal campo.