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Stefano Parisi, candidato sindaco di Milano nel 2016 lascia la politica

Stefano Parisi, l’imprenditore prestato alla politica che aveva sfidato Beppe Sala alle ultime elezioni comunali del 2016, ha annunciato il suo ritiro dalla politica per tornare all’attività imprenditoriale.

Si dimette così dall’incarico di consigliere comunale a Milano e di consigliere regionale del Lazio dove lui, originario di Roma, era stato candidato a presidente regionale nel 2018 per il centro-destra.
Il seggio vacante in Comune dovrebbe essere preso da Riccardo De Corato, decano della politica meneghina dal 1985, ora assessore alla sicurezza giacché le due cariche non sono incompatibili tra loro.

Tornando a Parisi, la sua attività imprenditoriale lo ha portato a essere ex direttore generale di Confindustria, amministratore delegato di Fastweb e fondatore di Chili Tv della quale ora è socio di minoranza e che dove dovrebbe avere un ruolo chiave nel progetto del Ministero dei beni culturali per una Netflix della cultura.

In politica, in realtà, aveva seguito diversi ministri socialisti con incarichi nei dicasteri di Lavoro, Affari Esteri, vicepresidenza del Consiglio.
Dal 1997 al 2000 era stato city manager del Comune di Milano sotto l’amministrazione d Gabriele Albertini.

Nel lungo post di Facebook Parisi ha tracciato un bilancio personale e politico di questi ultimi anni ricordando anche l’esperienza del movimento da lui fondato e chiamato Energie per l’Italia: “Le migliori energie della città si mobilitarono su una visione moderna di Milano, europea, riformista, liberale, popolare […]” che culminarono nell’evento Mega Watt del 2016: “Sul palco di quel capannone industriale di Milano si sprigionò una forza ideale e programmatica straordinaria”.

Quanto alla sua area di appartenenza politica ha scritto: “Tanti di noi vedevano con nettezza le prime minacce di una radicalizzazione delle leadership della destra, che andava a riempire un vuoto di rappresentanza e che, tra il 2016 e il 2019, avrebbe generato un vero smottamento politico e la quasi scomparsa del voto liberale e popolare.
Quella protervia nel rifiutare qualunque rinnovamento. Quell’ossequioso e ridicolo ripetere che il rinnovamento non era necessario, che chiunque ci avesse provato avrebbe fallito (come effettivamente è stato), che il passato terrà anche per il futuro, nonostante il disgregarsi quotidiano di una rappresentanza politica e di un gruppo dirigente ormai obsoleto”.

Per poi concludere: “Credo che chi vive nella politica debba essere anche pronto a lasciare. Io ho iniziato il mio impegno a 59 anni. Ho lavorato con tutte le mie forze per realizzare un sogno: contribuire a costruire una casa politica in cui, nel tempo, la maggioranza degli italiani avrebbe potuto ritrovare la fiducia. Non ci sono riuscito.
Forse non sono la persona adatta, forse non è questo il tempo per il mio sogno”.