La storia raccontata da una paziente oncologica sulle lunghe liste d’attesa nella sanità pubblica arriva da Bergamo. La donna, B.S. si rivolge alla Cgil e denuncia tutto
Ha contattato la Cgil di Bergamo per raccontare la sua storia. B.S. è una donna lavoratrice ma anche una paziente oncologica, in cura con la pastiglia antitumorale e sotto osservazione. Durante l’ultimo consulto medico, l’oncologo che segue la donna le ha indicato 4 esami diagnostici da fare entro il prossimo incontro medico.
Così la paziente, in largo anticipo, telefona per prenotare gli esami da fare, seppur, come sottolinea la Cgil Bergamasca, questo compito sarebbe dovuto aspettare alla stessa struttura sanitaria. Sulle ricette in suo possesso la classe di priorità indicata dallo specialista è la “P”, ovvero esame “programmabile”, per prestazioni da erogare entro 120 giorni. Ma qualcosa va storto.
La paziente, come riporta anche il Giorno, racconta la sua vicenda con la Sanità: “Ho cercato di fissare una mammografia, un’ecografia mammaria, un Rx torace e un’ecografia dell’addome completo, esami per i quali fino all’anno scorso c’erano circa 6 mesi di attesa”.
Poi la donna continua evidenziando che con il sistema privato non ci sarebbe stata nessuna attesa, mentre con il pubblico almeno 2 anni. Forse, se mesi.
B.S. spiega: “Al telefono mi sono sentita rispondere che le prime date disponibili per tutti e 4 gli esami sarebbero a fine 2025. Dovrei attendere quasi 2 anni. Mi sono, allora, rivolta al sistema privato, riuscendo a fissare i 4 esami per il 7 marzo. Pur essendo io esente totale da ticket, e dunque avendo pienamente diritto a non pagare nulla alla luce della mia patologia, nel sistema privato dovrò sborsare 422 euro. È chiaro che in Lombardia se un paziente ha i soldi vive, se uno non li ha, rischia la vita”.
La donna, dopo i fatti, ha deciso di rivolgersi alla Cgil territoriale esponendo la sua storia. La Spi-Cgil di Bergamo denuncia immediatamente il caso pubblicando sul proprio sito la storia della paziente oncologia. “Attese troppo lunghe e tempi che, per chi non ha disponibilità economiche, possono tradursi nell’impossibilità di ottenere una diagnosi e le cure necessarie, ledendo gravemente un diritto universale, quello alla salute”.
Così inizia la lunga lettera di denuncia. Poi, si entra nel dettaglio con diverse precisazioni che la normativa regionale prevede in questi casi, ovvero: “Nel caso la struttura a cui si rivolge il cittadino non avesse disponibilità ad erogare la prestazione entro i tempi previsti dalla specifica priorità, il Responsabile Unico Aziendale per i tempi di attesa […] si attiva per individuare altre strutture in grado di offrire la prestazione entro i tempi indicati. Qualora sul territorio dell’Ats non ci fossero le disponibilità richieste, la struttura scelta è tenuta ad erogare la prestazione con oneri a proprio carico chiedendo al cittadino di riconoscere il solo ticket se non esente”.
Infine, Carmen Carlessi della segreteria dello Spi-Cgil di Bergamo conclude invitando “i cittadini a rivendicare il diritto alla salute e a farsi sentire, scrivendo alle Asst a cui si sono rivolti per fissare esami e visite. Non si può obbligare la popolazione a rinunciare alle cure, non si può ledere un diritto universale”.
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Nel frattempo, come riporta sempre il sito Spi-Cgil Bergamo, dal 1° marzo proprio per salvaguardare il diritto alla salute è partita anche a Bergamo la raccolta firme per la petizione “La Lombardia SiCura”, promossa dal comitato composto da Medicina Democratica, Osservatorio Salute, CGIL, SPI-CGIL e FP-CGIL Lombardia, Federconsumatori, Arci e Acli Lombardia, per proseguire la battaglia referendaria abrogativa di alcuni commi della legge sanitaria regionale.
Nella petizione viene chiesto: