Lo scorso mese di maggio ha fatto notizia l’asta di un’opera dell’artista sardo Salvatore Garau dal titolo “Io sono” che è stata venduta alla cifra record di 15 mila euro.
Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che si tratta di una provocazione nel senso che l’opera…non esiste. Si tratta, piuttosto, della risposta di Garau al proliferare di un fenomeno tecnologico legato agli NFT, sigla che sta per “non fungible tokens”, entità uniche nel loro genere e quindi non riproducibili in serie costruite con la tecnologia della blockchain e che possono essere associate a un’opera di ingegno piuttosto che a un altro bene materiale.
Nel caso specifico dell’arte, però, si è trattato della prima asta di questo genere che però ha avuto un’eco così vasta che sulla principale piattaforma online di vendita privata sono già comparse le prime imitazioni con prezzi di asta che si aggirano intorno ai 10 mila euro.
Il fenomeno non poteva quindi sfuggire ai collezionisti americani che sono diventati i più attenti a scovare in rete nuove opere immateriali di Garau dopo che un’altra sua opera dal titolo “Afrodite piange” era comparsa a Wall Street.
In questo gioco sospeso tra il reale e l’immateriale, infatti, l’artista accompagna queste opere con un certificato di autenticità che suggerisce l’ambiente più idoneo per l’esposizione.