In occasione della festività di Sant’Ambrogio, è usanza dai tempi del cardinale Giovanni Colombo – vescovo dal 1965 al 1979 – che il vescovo di Milano rivolga un messaggio alla città.Non fa eccezione questo 2020 con la pandemia di cui lo stesso vescovo Mario Delpini è rimasto vittima.
Solo da poco è tornato negaivo al tampone riprendendo così la sua attività pastorale senza mancare questo importante appuntamento. Viste le restrizioni in atto, la cerimonia è stata anticipata a oggi 4 dicembre, con un numero limitato di partecipanti e alla presenza delle autorità.
La lettura biblica che ha preceduto il suo intervento raccontava del profeta Geremia che in un momento in cui la distruzione di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor incombeva sul popolo ebraico decide di acquistare un campo e di pensare quindi al futuro.
Delpini lega il suo messaggio a questa scena e descrive l’oggi dal suo punto di vista: un generale atteggiamento di rinuncia, un’emergenza spirituale che si traduce in aridità e uno stato di assedio dovuto a preoccupazioni sulla salute e il lavoro che limitano l’orizzonte solo al presente.
In questo scenario, però, agiscono gli uomini “che sanno stare al loro posto”.
Qui il suo pensiero va a quanti hanno garantito il funzionamento istituzionale, sanitario, dell’economia.
Lo sguardo torna poi alla società attuale e ai suoi mali: l’individualismo e la fine delle ideologie intese come un atteggiamento di presunzione verso cose e persone. E il riferimento va al Papa e al suo messaggio del marzo scorso con la metafora del “tutti sulla stessa barca. Nessuno si salva da solo”.
A questo punto del messaggio, Delpini svela il titolo che ha scelto per il suo discorso “Tocca a noi, tutti insieme“. Questa intima e tenace convinzione tornerà più volte da qui al termine del suo intervento per sottolineare cosa dovrebbe animare la società nuova: un servizio da compiere e un contributo da offrire in termini di operosità, consapevolezza dei propri limiti e umiltà che si traducono in una visione che fa dire “sogniamo insieme”.
Il sogno si ricollega alla visione cristiana del Dio nella storia che è anche ciò che ha fondato la nostra società fino a quando “io” non ha sostituito Dio.
Ecco allora la necessità di un ritorno a:
– La famiglia intesa come nucleo originario della società, come luogo di accoglienza, come idea che nessuno deve essere lasciato a sé stesso;
– La fraternità: tra le persone e tra i popoli che presuppone uguale dignità per ognuno;
– La fiducia: nella scienza e in varie forme di intraprendenza, pazienza e organizzazione.
Il “tocca a noi” si trasferisce poi alla costruzione della condivisione, all’importanza dell’educazione per i giovani e per la quale non è responsabile solo la famiglia, nell’attenzione alla disabilità e all’emarginazione perché “nessuno è irrecuperabile”, nella costruzione di una comunità plurale e nel dialogo che ha bisogno di tempo, attenzione e dell’incontro con l’altro.
A questo punto Delpini e con lui tutta la chiesa ambrosiana, si mette a disposizione per la realizzazione di questo grande progetto attraverso il dialogo con tutti i soggetti istituzionali e non mettendo al centro l’educazione delle nuove generazioni.
L’ultima parte del suo discorso sono i ringraziamenti che fa attraverso la formula “voglio ringraziare, elogiare, incoraggiare” rivolto a tutti coloro che “si fanno avanti”:
– le istituzioni;
– il personale sanitario, le forze dell’ordine, il personale dei servizi pubblici;
– tutti coloro che fanno vivere e funzionale la città;
– chiunque si dedichi agli altri attraverso il volontariato.
Curioso che abbia rivolto un ringraziamento anche a chi è capace di farsi avanti per lasciare il posto a qualcun altro, non per cattiva volontà ma perché animato da una saggia modestia.