L’opera è stata realizzata dallo scultore Giuseppe Bergomi che l’ha definita: “Un’immagine antiretorica, che permette di sottolineare un atteggiamento riflessivo, pensieroso ma anche dinamico”.
Cristina di Belgioioso si impegnò a sostegno dell’Unità d’Italia e proprio per questo motivo fu costretta a fuggire a Parigi dove iniziò a scrivere partecipando così al dibattito politico e culturale del suo tempo.
Chi era Cristina di Belgiojoso:
Cristina era nata in una delle famiglie più importanti dell’aristocrazia milanese e aveva avuto un’infanzia infelice legata alla prematura morte del padre. Come si usava per le giovani donne di allora, fu educata al canto, al disegno e ad altre forme d’arte. La sua insegnante di disegno, Ernesta Bisi, divenne così sua amica e anni dopo la introdusse nel mondo della cospirazione carbonara.
A 16 anni sposò il principe Emiliano Barbiano di Belgioioso che si rivelò ben presto frivolo e fedifrago tanto che, dopo l’ennesimo tradimento, i due si separarono di fatto nel 1828, pur continuando la vita insieme.
A questo periodo risale la comparsa dei primi sintomi dell’epilessia che l’accompagnarono tutta la vita costringendola spesso a letto. Alla fine degli anni ’20 Cristina di Belgiojoso si avvicinò alle persone più coinvolte con i movimenti per la liberazione ma, almeno inizialmente, la fama, la posizione sociale e la scaltrezza la salvarono dall’arresto della polizia austriaca che la teneva sotto controllo.
I sospetti sulla sua attività si fecero via via più fondati dopo una serie di spostamenti e di incontri che Cristina ebbe prima a Genova e poi a Firenze e Roma dove avrebbe aderito alla Carboneria.
Di ritorno a Milano, dopo un breve soggiorno in Svizzera motivato anche dalla cura per la sua malattia, si trovò ad avere a che fare con l’opprimente controllo del capo della polizia Torresani dal quale riuscì a sottrarsi partendo prima per Genova e poi riparando oltralpe con uno stratagemma. Abitò quindi in diverse città francesi prima di stabilirsi, in ristrettezze economiche, a Parigi dove il redattore del Constitutionnel, Alexandre Bouchon, le offrì una collaborazione per il giornale, proponendole di scrivere articoli relativi alla questione italiana.
La sua situazione economica migliorò gradualmente fino a consentirle di ricevere personalità del mondo della cultura come Bellini e Liszt e della politica. Nei dieci anni parigini Cristina continuò a contribuire alla causa italiana, cercando di influenzare i potenti, scrivendo articoli e diventando addirittura editore di giornali politici, quando non trovava altri editori disposti a pubblicare suoi scritti giudicandoli pericolosi.
Divenne così il punto di riferimento per gli esuli italiani di cui aveva preso a finanziare le campagne politiche.
Dopo la nascita della figlia Cristina, rientrò a Milano nel 1840 per stabilirsi nella residenza di Locate dove si dedicò alla cura dei bisognosi creando le prime forme di assistenza ante litteram. Riprese poi l’attività giornalistica e di scrittura di saggi fino alle Cinque Giornate del 1848 che le costarono un secondo esilio prima in Francia e poi, nel 1849 a Roma, in coincidenza con l’esperienza della Repubblica.
Altre peregrinazioni la portarono a Malta, in Grecia e in Turchia fino a quando, nel 1855 ottenne un’amnistia delle autorità austriache per rientrare a Milano e assistere al processo che portò all’unità d’Italia.
Morì nel 1871 all’età di 63 anni.