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Coronavirus e inquinamento: nessun legame secondo uno studio italiano

Lo scorso novembre era stato pubblicato lo studio di un’università svizzera che metteva in relazione la diffusione del coronavirus con l’inquinamento atmosferico. Uno studio italiano smentisce questa ipotesi.

Pubblicato sulla rivista Environmental Research, il lavoro di analisi italiano ha visto la collaborazione tra l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche delle sedi di Lecce e Bologna, e Arpa Lombardia, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente.

Il periodo preso in esame ha riguardato i mesi della prima fase epidemica  – tra marzo e maggio – quando la Lombardia ha registrato 76.469 casi e si è concentrato sulle città di Milano e Bergamo laddove c’era stata la più elevata concentrazione di casi positivi.

La verifica doveva dimostrare se le condizioni atmosferiche tipiche di queste zone come la scarsa ventilazione e la stabilità atmosferica che favoriscono il ristagno dell’inquinamento e in particolare di alcuni agenti primo tra tutti il particolato PM10, facessero da veicolo al virus.

Ebbene i risultati sono stati:
– Nelle aree pubbliche all’aperto le concentrazioni erano molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria.
In queste condizioni sarebbero stati necessarie in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale.
Dato che l’insorgenza della malattia è determinata da più particelle, si sarebbe dovuta avere un’esposizione compresa tra una decina di giorni e alcuni mesi;
– Per avere una probabilità di individuare il virus nei campioni giornalieri di PM10 a Milano sarebbe stato necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nel capoluogo e circa 6.300 a Bergamo.

“La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, é trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno” ha concluso Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac di Bologna.