Attacco hacker a Luxottica: perquisizioni in corso in diverse regioni

L’attacco hacker che ha colpito Luxottica lo scorso mese di settembre ha i suoi colpevoli.

Dalle prime ore di oggi, infatti, la Polizia postale di Milano, in collaborazione con i colleghi di Roma, ha effettuato perquisizioni domiciliari e informatiche in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che hanno portato al sequestro di materiale ora al vaglio degli inquirenti.

L’attacco hacker aveva provocato la sospensione delle attività negli uffici del quartier generale di Milano e aveva bloccato fino ad arrivare al fermo il secondo turno produttivo negli stabilimenti di Agordo e Sedico, nel Bellunese, un episodio che aveva avuto poi ripercussioni anche sulle attività produttive in Cina. Il blocco aveva quindi interessato anche il sito dell’azienda che, come spesso accade in queste circostanze, riportava la scritta “il sito non è al momento raggiungibile”.
L’azienda aveva cercato di tamponare i danni per far ripartire le attività ma da questo episodio era partita un’inchiesta della Procura di Milano coordinata dal pm Alessandro Gobbis.

Secondo il sito internet specializzato in sicurezza informatica Cybersecurity360.it in seguito all’attacco sarebbero stati pubblicati sul dark web circa 2 Gigabyte di dati con riferimenti dell’azienda. A marzo 2020 il gruppo era già stato oggetto di un altro attacco informatico che aveva temporaneamente interrotto l’accesso ad alcuni server e personal computer. Anche in quel caso gli esperti informatici avevano trovato in poco tempo una soluzione in grado di bloccare l’intrusione.

Un fenomeno, quello degli attacchi hacker a grandi gruppi industriali, che sta crescendo di anno in anno non solo per quanto riguarda i numeri ma anche per le modalità con cui avvengono tanto che gli esperti già parlano di cyberpandemia. Il caso più eclatante ha colpito proprio di recente gli Stati Uniti per ben due volte e ha avuto per protagonisti hacker russi.

Una prima ha riguardato Colonial Pipeline, operatore dell’oleodotto più grande degli Usa che rifornisce buona parte delle stazioni di rifornimento della costa est. È stato chiesto un riscatto miliardario in bitcoin per sbloccare gli impianti e l’azienda è stata costretta a pagare anche se, ha fatto poi sapere il Dipartimento di giustizia, la somma è stata in parte recuperata. Il secondo attacco informatico ha poi riguardato la filiale americana del più grande fornitore mondiale di carne. Anche in questo caso c’è stato un fermo dell’attività e alla fine l’azienda ha deciso di pagare il riscatto.

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