Smemoranda è fallita. Addio al celebre marchio che per anni ha accompagnato generazioni con originalità e innovazione. Gli autori milanesi.
Smemoranda. In principio furono Gino e Michele con Nino Colonna, due tra gli autori più brillanti degli anni Novanta e non solo hanno dato vita al brand che avrebbe accompagnato generazioni anche in maniera inconsapevole. Smemoranda non era un’agenda, era l’agenda. Non si tratta di gusto personale. Il brand andava oltre.
Dal 1979 decine, centinaia e poi migliaia di ragazzi sono riusciti ad averla. Il suo valore aggiunto era, al di là dell’estetica alla moda e il formato maneggevole, quel che c’era all’interno. Gli adolescenti, ma anche i più piccoli, erano abituati a concepire un diario come le canoniche agende. Giorni, fogli a disposizione, spazio per scrivere: la Smemoranda no. Il brand aveva saputo guardare lontano.
Smemoranda, genesi di un cult
Interpretare il mercato, come direbbero quelli bravi: capire che c’era un bisogno. Una domanda che non aveva offerta adeguata. I diari e le agende c’erano già, ma sempre allo stesso modo. Smemoranda aveva la classica funzione di archivio: prima degli smartphone si segnava tutto su carta, ma occorreva saperlo fare e avere i giusti stimoli.
Il diario di scuola o l’agenda da lavoro era un accessorio comune che accompagnava chiunque nelle sue giornate, ma prima di Smemo – la chiamavano così i giovani – ci si sentiva più soli. Il motivo – che è anche il valore aggiunto che ha fatto del brand un riferimento nel settore – era che fra una giornata e l’altra (insieme alle classiche pagine bianche con i giorni per prendere appunti) c’erano racconti di persone famose.
L’idea di Gino e Michele
Uomini e donne come tanti che, però, ce l’avevano fatta e raccontavano il proprio modo di vivere la vita, la scuola, la solita routine in maniera del tutto personale con aneddoti inediti che non si conoscevano. Era come se ciascuno si confessasse a Smemo. Quest’abitudine è iniziata quasi casualmente, come un gioco, poi è diventata nel tempo un vero e proprio tormentone.
Chi non compariva sul famoso diario si sentiva tagliato fuori. Questa tendenza, del raccontarsi, donare qualcosa agli studenti e non solo, è partita da Milano. Gino e Michele hanno chiamato tutti gli amici e conoscenti che hanno portato a Zelig (anche lì c’è il loro zampino, o meglio: l’impronta) per dare loro uno spazio.
Come un palco solo su carta. Il risultato sono stati pezzi di bravura, scritti con una tale maestria, che diventarono veri e propri cult: da Claudio Bisio a Raoul Cremona, passando per Flavio Oreglio, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, fino a Roberto Vecchioni, Gino Strada, Enrico Bertolino, Ale e Franz.
Il fallimento dopo quasi 50 anni
Una sequenza di nomi che prendevano forma durante la quotidianità e, dopo averli ammirati ciascuno nel proprio settore, era possibile averli idealmente al banco. Chi aveva la Smemoranda poteva leggerli e pensare che fossero insieme nel momento più difficile, magari prima di un’interrogazione o dopo una giornata no.
La Smemoranda ha scandito le giornate e gli anni di intere generazioni e, al termine di quasi mezzo secolo, dirle addio è davvero complicato. L’asta per il marchio è andata deserta: nessuno ha ereditato questo patrimonio. Ancora vivo, però, per chi avrà la forza di ricordare: sul diario ci si scrivevano i segreti, ma quanto fossero importanti certe pagine lo sapeva anche un’azienda diventata con il tempo simile a una famiglia. I cui figli sono stati, in qualche modo, milioni di studenti. Meno svogliati e un po’ più felici anche grazie a un pezzo d’autore che ha aiutato a svoltare quelle giornate infinite per cui oggi molti pagherebbero oro pur di riviverle.