L’Approfondimento: il 1969, capitolo sesto

Alla fine degli anni ’60, nelle questioni internazionali, esisteva ancora una semplificazione delineata dalla Guerra Fredda. Gli opposti poli d’influenza mettevano l’opinione pubblica nella comoda (ma assai sconfortante) constatazione di quanto il mondo fosse suddiviso in blocchi. I due principali attori erano l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Frutto degli accordi tra gli Alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale, permane (sebbene con diverse sfumature e ulteriori spartizioni) ancora ai giorni nostri.

February 1945: American President Franklin Delano Roosevelt (1882 – 1945), right, with Admiral William D. Leahy (1875 – 1959) and General George C. Marshall (1880 – 1950) at the conference in Yalta, in the Crimea. Russian premier Marshal Joseph Stalin (1879 – 1953), left of centre at the table, and British Prime Minister Winston Churchill (1874 – 1965), with his back to the camera, are also amongst those present at the conference. (Photo by Keystone/Getty Images)

La storia ci ha consegnato innumerevoli testimonianze su come si sia sviluppata la contesa degli spazi sui quali influire e di quanto ciò abbia contribuito nella corsa ad armarsi. In sintesi, forze di terra, d’aria e di mare, con corredo di immensi arsenali hanno punteggiato gli ultimi settant’anni di episodi inquietanti, proprio mentre si svolgeva l’affannosa andatura verso la supremazia mondiale.

Oltre al presidio dei confini, il grande spazio degli oceani fu un campo aperto per ambedue le potenze. E i guai non mancarono.

Nel 1969 e precisamente nel mese di Novembre, un sommergibile nucleare sovietico entrò in collisione con un analogo sottomarino americano.

I sommergibili venivano utilizzati (dall’URSS e dagli USA) per operazioni di pattugliamento nelle acque amiche senza trascurare sconfinamenti in altre zone del globo con compiti di spionaggio.

Un pullulare di macchine, sempre più sofisticate e tecnologicamente avanzatissime, si trovavano ad incrociare, con minime distanze una dall’altra. Pesantemente armate da missili intercontinentali rappresentavano un rischio elevatissimo. Infatti, una collisione avvenne tra un K-19 della marina sovietica e l’USS Gato della USS NAVY.

Il battello americano stava seguendo quello considerato un intruso anche se navigava sotto la superficie del Mare di Barents, le cui sponde toccano la Norvegia e la Russia.

Il Gato pedinava il K-19 quando, con una manovra mai precisata, ci fu il contatto. Il sommergibile russo s’immerse ulteriormente restando schiacciato sul fondo e subendo il danneggiamento di alcune apparecchiature. Per fortuna il sottomarino denominato Hiroshima e l’equipaggio vennero recuperati. Tuttavia lo spavento fu grande. Questo episodio non era che l’ultimo della serie.

Come accade spesso, il cinema ci viene in soccorso. Così come con altrettanta frequenza lo fanno le canzoni. Non è sempre facile far riaffiorare i ricordi se non li si lega a qualche iconografia. Assai frequentemente, come avrete potuto constatare dai precedenti e brevi resoconti sul 1969, abbiamo ricondotto la nostra narrazione a una serie di immagini e di filmati per aiutarci ad illustrare questo o quell’evento.

Già nel 1961 vi fu un grave incidente su un K-19 con rotta segreta in acque non precisamente internazionali.

Si trattava della prima missione e venne mandato in mare per compensare la difficoltà strategica della marina sovietica rispetto a quella avversaria. Una grave avaria del congegno di raffreddamento del reattore nucleare costrinse diversi membri dell’equipaggio a sacrificarsi, per evitare una catastrofe ancora maggiore. Distanti dalla base e impossibilitati a comunicare con il loro Stato Maggiore scongiurarono il peggio al prezzo della perdita di otto marinai pesantemente contaminati. Altri moriranno a causa delle radiazioni dopo alcuni mesi. Il K-19 una volta in condizioni di riemergere rifiutò l’aiuto offerto dalla marina americana. La consegna era di non far cadere in mano al nemico segreti militari. Dov’è il film? Eccolo: “K-19 The Widowmaker”, pellicola indipendente, diretta dalla brava Kathryn Bigelow nel 2002. Protagonisti Harrison Ford e Liam Neeson.

Una storia ispirata a fatti resi noti solo dopo molti anni.

Siamo certi quanto sia positivo considerare la Pace unbene supremo. Nel medesimo tempo non risulta altrettanto tranquillizzante sapere che essa sarebbe garantita solo da chi mantiene le armi al piede. C’è da chiedersi: la difesa della Pace deve sottostare a queste condizioni? E’ una domanda con un eccesso di retorica?

Lo postulava anche John Lennon. Tanti anni fa.

Nel 1969 organizzò una variante del sit-in con un Bed-In, insieme alla moglie Yoko Ono, al Queen Elizabeth Hotel di Montreal. Infatti ricevettero giornalisti ed amici mentre stavano sotto lenzuola, nella stanza numero 1742. Fu quella l’occasione in cui Lennon registrò dal vivo, “Give Peace A Chance”. All We Are Saying, Is Give Peace A Chance, ovvero, Tutto quello che diciamo è: date una occasione alla Pace.

Nelle edizioni di questo brano contro le guerre c’è una stranezza editoriale che va rivelata.

Originariamente fu annoverata tra le produzioni firmate LennonMcCartney. Accadeva per un pregresso patto, sottoscritto all’epoca della fondazione dei Beatles. Tutte le canzoni, ideate da almeno uno dei due, andavano sempre registrate con il nome di entrambi. Per capire meglio: Yesterday fu scritta solo da Paul McCartney; Strawberry Filds Forever, fu il frutto dell’ingegno di John. All’epoca di “Give Peace…” i Fab Four erano già degli ex Beatles. Pertanto, poco dopo, la firma fu unicamente di Lennon e la canzone venne accreditata alla Plastic Ono Band.

Intanto, in Italia e a Milano.

All’Alfa Romeo di Arese c’erano fermenti. Come abbiamo scritto in altre occasioni, non solo per il salario. I diritti diventavano una piattaforma sempre presente. Le lotte per il contratto avevano dato esito positivo e nella fabbrica di automobili guardavano avanti e sollevavano temi di freschissima attualità.

Abbiamo scovato, in una vecchia raccolta, dei brani scritti (proprio cinquant’anni fa) sul giornale diffuso all’Alfa.

Eccone uno:

Il lavoro delle donne, anche nella più avanzata società, si vuol far ritenere che sia un di più, un privilegio…perciò suggeriscono, di non reclamare…poiché potreste trovare subito chi vi sostituisce…questa un’ingiusta discriminazione.

Nella nostra fabbrica delle 754 impiegate l’87% è di 3° Categoria. Solo 9 sono di 1°…”. Tratto da “Il Portello” 1969.

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