Nato con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, l’edificio si eleva in una delle aree industriali più iconiche della città di Milano. Ecco il suo uso.
È vero una città è fatta del suo tessuto urbano (più è qualitativamente elevato e meglio è), ma si sa quanto conta il suo passato: istituzionalmente, ogni centro urbano eredita gli echi della Storia sotto forma di forma di monumenti, di luoghi di culto, beni artistici come sculture e opere pittoriche contenuti in un museo. E in quest’ultimo caso, è nell’iniziativa degli organi culturali il tentativo di rinverdire il significato di quel patrimonio e rielaborarlo nel segno della contemporaneità.
Dal passato, per garantire il futuro di una società; e con essa, della città. Le città però non sono tutte uguali: dipende, in ciascuna di loro, la vocazione, altrettanto destinata dalla Storia. Così, alcuni contesti perseguono la loro vena d’eccellenza artistica (senza dubbio il caso di Roma e Firenze), con la collateralità turistica derivante; altri contesti invece possono raccontare una storia del tutto diversa ma altrettanto, antropologicamente parlando, dignitosa.
La “matita” gigante di Via Adriano: a cosa serviva
Il “caso” Milano è da circa un decennio l’emblema di una rinascita sociale, culturale, ma soprattutto urbana. Il tutto in una chiave del tutto diversa dalla provenienza rinascimentale, archeologica, spirituale di un altro grande centro. No, il midollo culturale di Milano è storicamente quello di traino industriale ed economico del Paese, e nella sua storia recente questo imprinting è andato consolidandosi, specie dopo la fruttuosa esperienza dell’Expo 2015, offrendo un’immagine internazionale della città.
La storia industriale di Milano è rappresentata da marchi e imprese che dal boom economico hanno tratteggiato la ricchezza del PIL nazionale, ma vi sono casi di imprese che hanno posto le radici ben prima del secondo dopoguerra. Anzi, proprio i drammatici bombardamenti a cui gli Alleati hanno sottoposto la città nel corso della campagna di liberazione della penisola dal nazifascismo ha contribuito l’installazione di rifugi antiaereo in prossimità delle fabbriche, che per esigenze belliche, restavano attive anche nei momenti concitati delle mortali incursioni aeree.
Tale vicenda rivela l’antico destino di una vecchia, misteriosa struttura presente in città, più precisamente nel quartiere Adriano, di fronte al parcheggio dell’attiguo Esselunga. Si tratta del “matitone” di Via Adriano, l’edificio cilindrico, alto 35 metri e con un diametro di 9 metri, che termina con la punta conica simile a quella di una matita, appunto. Questo solitario “menhir” della modernità è dotato di un unico accesso e proprio nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ha funzionato come riparo per gli operai dell’allora grandissima fabbrica Magneti Marelli.
Il “matitone” è composto da un piano sotterraneo, da una rampa di bassi e larghi scalini che termina in cima con una cisterna per l’acqua; in passato, conteneva un impianto di ventilazione forzata e filtrazione dell’aria, lavandini e un pronto soccorso. Al suo interno si trovano lampade stagne e scritte d’epoca (sia dipinte che incollate). Per la verità un rifugio anomalo, dato che le leggi, all’epoca, prevedevano due ampi accessi per ogni rifugio, non la piccola porta che chiude l’edificio. Forse si trattava di una “trappola“, tesa a non dare scampo in caso di bombardamento e mitragliamento.