Sentieri di Celluloide
– Milano nel cinema –
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“LO SVITATO”
Il riso è sacro. Quando un bambino fa la prima risata è una festa. Mio padre, prima dell’arrivo del nazismo, aveva capito che buttava male, perché, spiegava: quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso.
(Dario Fo)
Dario corre sempre. la morte non riuscirà mai a prenderlo! Lui corre, corre, corre…
(Franca Rame)
Lo svitato è stato colpito dalla critica perché sembrò, dopo due film come: “Achtung banditi!” e “Cronaca di poveri amanti”, il cambiamento immotivato di un regista che era stato catalogato seppur più giovane, come neorealista.
(Carlo Lizzani)
Carlo Lizzani, dopo aver diretto: “Achtung banditi!” e “Cronaca di poveri amanti“, pellicole legate al Neorealismo del raccontare storie di lotte partigiane contro i nazifascisti, stravolge la sua calligrafia filmica portando sul grande schermo nel 1956, “Lo svitato“, una folgorante commedia dal ritmo incalzante, interpretata da un vulcanico Dario Fo, al suo debutto cinematografico in una delle sue rare escursioni nel mondo del cinema, con al suo fianco Franca Rame all’epoca già sua moglie.
Il film accolto favorevolmente dal pubblico, fu severamente bocciato dalla critica, che non accettò il passaggio di Lizzani da un cinema impegnato alla commedia, in questo caso considerata demenziale, penalizzando Dario Fo, ritenuto inadatto per il suo cinema, troppo legato la sua fisicità, al suo gesticolare, e alla sua mimica facciale di stampo teatrale.
In realtà la pellicola, anticipando i tempi, è una dei più significativi esempi di cinema surreale, una sorta di favola, in cui Dario Fo (anche sceneggiatore) dà vita ad un personaggio alimentato da una comicità del tutto giocata sul corpo, ispirata ai più celebri comici del muto e del più recente “Monsieur Hulot” di Jacques Tati.
Ambientato nella Milano del dopoguerra, che non sogna, ma agisce freneticamente alla ricostruzione della città, un elemento chiave del film è quello occupato dall’ informazione di alcuni quotidiani fatta da un giornalismo di pettegolezzi, per riempire le prime pagine, con notizie di poco conto gonfiate fino all’estremo, un giornalismo diverso da quello conosciuto da Carlo Lizzani, che vide Milano per la prima volta, nel 1945, quando si trasferì a lavorare nella redazione del settimanale “Film d’oggi” nato dalle ceneri della rivista fascista “Cinema“, di proprietà di Vittorio Mussolini, responsabile della produzione cinematografica del regime.
Achille lavora come fattorino presso un quotidiano milanese con Il sogno di diventare giornalista. Dopo avere scritto un articolo, in parte inventato, su un pugile dal cuore d’oro, che gli viene sottratto da un collega che si prende il merito del “pezzo”, l’amico Gigi, una sorta di imbroglione che vuole approfittare della sua ingenuità e delle sue velleità giornalistiche, gli propone di costruire una notizia per poi avere l’esclusiva.
Decidono così di sequestrare i cani di una mostra canina e liberarli dopo qualche giorno, in modo di ottenere il doppio scoop del sequestro e del ritrovamento. Achille spera così di diventare un giornalista, ma il furto ed il possibile scoop vanno incontro al fallimento più totale. Le ambizioni di diventare giornalista svaniscono, ma Achille troverà l’amore di una ragazza innamorata di lui per la sua innocenza e semplicità.
Carlo Lizzani, dalle prime inquadrature, sulla musica composta da Roberto Nicolosi, ci introduce in un contesto ben preciso, quello di una Milano affannata di futuro alla vigilia del boom economico. Una città, che giorno dopo giorno, cresce e si sviluppa, popolata da muratori e da enormi gru, mentre il suo terreno è costantemente trivellato, alla continua frenetica ricerca di un’identità che presto incontrerà. Milano si muove velocemente, crea, aggrega, ci sono tutti i luoghi in cui ribolle la vita, il lavoro, il commercio il denaro ed il successo.
Lizzani, particolarmente legato cinematograficamente al capoluogo Lombardo tornerà a documentare la crescita di una città che non conosce soste in :”La vita agra“, del 1964 con protagonisti Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli.
Ma questa è un’altra storia…
“A ben Arrivederci”
Joe Denti