Sentieri di Celluloide
– Milano nel cinema –
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“ANNA”
Sìamo primi nel delitto, primi nelle invenzioni, nell’arte, il nostro cinema del dopoguerra è un altro miracolo. Tutto il mondo si è trovato sullo schermo qualcosa da ammirare, è rimasto commosso nello scoprire un paese che si guardava allo specchio crudelmente, si fotografava come nessuno osa, con le ferite aperte. Sullo schermo abbiamo stupito un’altra volta.
(Alberto Lattuada)
Alberto Lattuada, compagno di liceo ed amico di Mario Monicelli ed Alberto Mondadori, si avvicinò al cinema come critico e contribuì assieme ad un altro amico illustre, Luigi Comencini, alla fondazione della Cineteca Italiana di Milano. Iniziò la carriera di regista grazie all’ennesimo amico, Il produttore Carlo Ponti, conosciuto in un “Bordello”.
Il suo interesse per il corpo e l’anima femminile viene fuori in quasi tutti i suoi film causandogli svariati problemi con la censura. Alla commedia ha spesso girato intorno, senza lasciarsi mai catturare fino in fondo, legando il suo nome ad attrici che scoprì ancora adolescenti, come: Carla del Poggio, diventata sua moglie, Catherine Spaak, Marilù Tolo, Natasha Kinski, tutte messe in scena in storie dove si racconta la scoperta del sesso per il sesso da parte di giovani ragazze stuzzicate dai primi desideri erotici. Meno pronto e duttile al mercato cinematografico al confronto di illustri colleghi dell’epoca, il suo contributo al cinema italiano rimane di primo piano nella storia della nostra cultura.
Nel 1951 realizza il suo più grande successo grazie a protagonisti del livello di Silvana Mangano, Raf Vallone e Vittorio Gassman, già visti insieme, due anni prima, nel capolavoro di Giuseppe De Santis: “Riso amaro“, portando sul grande schermo “Anna“, il primo film italiano ad incassare oltre un miliardo di lire e il primo ad essere presentato doppiato in inglese negli Stati Uniti.
Melodramma a tinte forti dominato dalla ventunenne Silvana Mangano, già sposa del produttore Dino De Laurentiis, vera e propria sex symbol, tanto da essere ribattezzata dai rotocalchi: “La Rita Hayworth italiana“. Come in Riso amaro, l’attrice, in una interpretazione che oscilla tra il sacro e il profano, si esibisce ballando una samba scritta da Armando Trovajoli: “El negro zumbon“, che divenne un successo mondiale.
E’ come se ci fossero due donne in me. Una è quella che tu ami, l’altra non posso dirlo.
(Silvana Mangano)
Anna, giovane suora novizia, lavora come infermiera in un ospedale di Milano, dove è ben voluta da medici e pazienti per la sua dolcezza e lo zelo che mette nel suo lavoro. Una notte viene ricoverato d’urgenza un uomo rimasto gravemente ferito in un incidente stradale, in cui Anna riconosce Andrea, il giovane di cui era innamorata e che avrebbe dovuto sposare prima di prendere i voti.
Mentre Andrea viene operato, la novizia ripensa agli avvenimenti passati che l’hanno indotta alla nuova scelta di vita. Anna faceva la cantante in un locale notturno e in quel periodo era l’amante di Vittorio, un uomo cinico e crudele, al quale era legata da una passione morbosa, ma avendo conosciuto Andrea, un ragazzo buono di sani principi, si era innamorata di lui e per sottrarsi all’ascendente di Vittorio aveva deciso di abbandonare il lavoro per rifugiarsi nella casa di campagna di Andrea. L’ex amante la rintraccia il giorno prima delle nozze, tra i due uomini si scatena una violenta lite durante la quale parte un colpo di pistola che colpisce a morte Vittorio. Anna rimasta ferita nella stessa collutazione fugge sconvolta e viene soccorsa da un passante che la porta in ospedale. Proprio qui la donna, durante la degenza, matura la decisione di farsi suora. Ora l’animo della novizia è combattuto tra l’amore per l’uomo ancora vivo in lei, ed i doveri derivati dalla sua nuova vita, e quando Andrea convalescente, gli dichiara di essere ancora innamorato di lei, proponendogli di fuggire dall’ospedale insieme per sposarlo, lei è sul punto di cedere, ma quando giunge la notizia di un devastante incidente ferroviario, che ha provocato numerosi feriti gravi, Anna decide di rimanere in ospedale al fianco dei chirurghi, convinta in cuor suo, pur nella sofferenza di aver dovuto rinunciare nuovamente all’uomo che ama, di aver fatto la scelta giusta.
Il film si apre, sulle musiche composte da Nino Rota, sull’ imponente immagine della facciata dell’ Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, inaugurato il 10 ottobre 1939, è sorto a nord della città dove Alberto Lattuada, grazie al permesso dell’amministrazione comunale, fa girare gli interni mostrando l’alta qualità delle strutture ospedaliere : cucine, lavanderie e altri reparti realizzati con criteri molto avanzati per quei tempi. Gli esterni sono stati realizzati nella tenuta del produttore Dino De Laurentiis : “Villa Catena”, situata a Poli, in provincia di Roma. Silvana Mangano tornerà a girare a Milano, a fianco di Terence Stamp e Massimo Girotti in “Teorema”, diretto da Pier Paolo Pasolini, nel 1968.
Ma questa è un’altra storia…
“A ben Arrivederci”
Joe Denti