Ultim’ora nel caso della strage di Samarate. L’omicida, l’interior designer Alessandro Maja, è stato condannato all’ergastolo: la sentenza
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo: Alessandro Maja, che nel maggio del 2022 ha preso a martellate la figlia Giulia e la moglie Stefania Pivetta togliendo loro la vita, è stato dichiarato di intendere e di volere, quindi è stata respinta la richiesta di una nuova perizia psichiatrica.
Sebbene anche in primo grado l’interior designer di Samarate fosse stato dichiarato in grado di intendere e di volere, l’avvocato Gino Colombo aveva chiesto per lui una nuova perizia psichiatrica. A questa istanza si è opposta con forza Francesca Nanni, procuratrice di Milano, la quale ha chiesto la conferma della pena già stabilita in primo grado in Corte d’Assise a Busto Arstizio, quindi l’ergastolo. Ecco quindi la sentenza e cosa successe in quel giorno tremendo.
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“Non riuscirò mai a perdonarmi e spero nella clemenza di una pena adeguata” ha detto Alessandro Maja, in una dichiarazione spontanea fatta all’apertura del processo di appello a Milano. Nelle sue frasi si sente parlare di uno squilibrio emotivo che l’ha portato a compiere quel gesto infausto a causa del quale sua moglie e sua figlia han perso la vita e suo figlio è stato ridotto in fin di vita, poi sopravvissuto. Proprio per via di questo squilibrio, l’avvocato ha chiesto una nuova perizia psichiatrica poi negata però sia dalla Corte d’Assise di Busto Arstizio che dalla Procura Generale.
Confermato quindi l’ergastolo e un anno e mezzo di isolamento diurno, pena commentata poi anche dal nonno materno di Giulia e di Niccolò, nonché papà della povera moglie di Maja. “È la giusta condanna per aver distrutto una famiglia“, ha detto.
La drammatica vicenda ha avuto luogo tra il 3 e il 4 maggio del 2022 nella villetta famigliare di via Torino 32 a Samarate. Durante la notte, Alessandro Maja sfoga tutta la sua furia omicida sulla moglie Stefania Pivetta e sui figli Giulia e Niccolò. Dopo aver ucciso le prime due e portato quasi alla morte anche il terzo, afferra un trapano e lo punta contro sé stesso per cercare di togliersi la vita: non riuscendoci, però, si provoca solamente delle ferite.
Alla strage è sopravvissuto solo il figlio Niccolò che, al momento, è ancora ricoverato all’ospedale di Varese con un’invalidità dell’80%: nella struttura ha subito un intervento di neurochirurgia sul cranio, sfondatogli dal padre a colpi di martello. A seguirlo i nonni, secondo i quali Maja avrebbe dovuto rinunciare al ricorso ed accettare la sentenza di primo grado. In una delle ultime lettere che Niccolò ha scritto a suo padre si leggono queste parole: “Papà, vorrei sapere quanto vale la nostra vita“. Domanda, però, che non troverà mai risposta.