L’Approfondimento: il 1969, terzo capitolo

Con questo pezzo ci portiamo al terzo capitolo della nostra sommaria rievocazione dell’anno 1969. Copriremo, per quanto possibile i mesi di Aprile e Maggio.

Il 1969 è stato un anno importante per gli studenti milanesi e per quelli del resto d’Italia. Il 5 Aprile, il Ministero della Pubblica Istruzione, guidato da Fiorentino Sullo, rese nota la nuova legge riguardante gli Esami di Maturità. La novità, sostanziale, prevedeva due materie scritte e due per l’orale.

Il provvedimento aveva carattere provvisorio e sperimentale in attesa di una legge definitiva. Il Decreto Legge n.9, del 15/1/1969 fu convertito nella legge n.146 del 1971 con l’esplicita dichiarazione che avrebbe dovuto avere una validità sperimentale di soli 2 anni (durò 30 anni, fino al 1998). La nuova norma arriverà solo dopo circa trent’anni, cioè nel 1997 con Legge 10 dicembre n. 425. Non fu un caso. La battaglia sull’istruzione e il suo accesso viveva alterne vicende, secondo il momento storico e politico del Paese. Evidentemente, il destino delle regole che dovevano stabilire la preparazione degli studenti e il loro avvio agli altri livelli di studio oppure al lavoro, non potevano che risentirne. Anche ai giorni nostri, mentre scriviamo queste note, gli studenti mostrano il loro profondo disagio nelle piazze. Non fu accidentale che la prima riforma portasse il nome di Giovanni Gentile (ministro del regime fascista) e fosse datata al 1923. Quegli esami erano molto duri e selettivi, allo scopo di mettere maggiormente in rilievo la stratificazione delle classi sociali. Purtuttavia anche i virgulti delle famiglie più abbienti non si fecero grande onore. La percentuale di bocciati, nell’anno successivo, fu di quasi il 40% nel classico e circa del 45% nello scientifico. La media migliorò, solo dopo i primi anni sessanta.

E mentre gli studenti erano impegnati a non farsi respingere si moltiplicavano le manifestazioni, non disgiunte da quelle operaie. Non senza dolore. Come accadde a Battipaglia. A causa della chiusura di uno zuccherificio vi furono scontri con la polizia. Morirono due persone.

A Milano gli slogan dei cortei abbinavano le richieste di diritto alla studio per tutti alle rivendicazioni di carattere salariale. Ciò costrinse i sindacati a modificare la loro politica per non perdere la guida dei movimenti, sempre più minacciata da azioni spontanee.

Intanto, quale segno di cambiamento nei sistemi di welfare italiano, venne introdotta la legge 153. Si trattava della Pensione Sociale, da erogare tramite l’INPS a tutti i cittadini di oltre 65 anni che avevano un reddito insufficiente.

Oramai la narrazione solo milanocentrica, opposta alle periferie e agli hinterland mostrava la corda. In tutte le famiglie c’era un televisore e nonostante i continui tentativi di censura le notizie filtravano e la gente cominciava ad appassionarsi anche alle trasmissioni d’inchiesta giornalistica. Le persone leggevano di più. Ad esempio, i giovani avevano fatto compiere un salto culturale e di vivibilità a quei centri una volta liquidati come Quartieri Dormitorio. Chiudere ai giornalisti più qualificati poneva questioni di ordine etico. Quale caso significativo si può citare un servizio di Sergio Zavoli (tra l’altro l’inventore de Il processo alla Tappa durante il Giro d’Italia). Il tema s’imperniava sul Codice Rocco. Ovvero la procedura penale adottata nel ventennio fascista. La materia fu sviscerata con dovizia di dati e con il contributo di illustri giuristi e testimoni del tempo. Ciononostante si sollevarono critiche. Si ritenne che quel lavoro fosse opera poco obiettiva poiché condotta da una minoranza intellettuale e non rappresentativa della maggioranza degli utenti della Rai.

Una tesi assai bizzarra dato che la televisione italiana era, per definizione, proprietà di tutti coloro che pagavano il canone e non di un singolo (e delegato dal Parlamento) consiglio di amministrazione. Ai più sensati appariva ancor più stravagante, dal momento che non si poteva indire un referendum (allora i sondaggi erano materia empirica) sul gradimento di un singolo servizio. Cionondimeno, Zavoli subì rimbrotti ma ottenne largo appoggio da tutte le forze politiche (eccetto da quelle di destra) quasi a sancire che non si trattava di semplice minoranza intellettuale.

Dicevamo della televisione e delle sue potenzialità.

I telegiornali abbondavano di servizi dall’estero e gli Stati Uniti erano allora nel pieno di una guerra. Le truppe americane erano impegnate, sul terreno, in Vietnam.

I soldati inviati dalle varie amministrazioni: da Kennedy a Johnson fino a Nixon, furono molte migliaia. Fin dal Natale del 1965 erano arrivati 300mila effettivi, poi furono molti di più.

Il 10 maggio del 1969 ebbe luogo una dura battaglia. Costò molte vittime ai combattenti (americani e nordvietnamiti) lungo il pendio di una collina ai confini con il Laos. Sulla carta denominata Quota 937. La cosa che sconvolse di più l’opinione pubblica statunitense, una volta conquistata la collina e a prezzo di enormi perdite, fu il suo abbandono dopo pochi giorni poiché priva d’interesse strategico. Stiamo parlando di Hamburger Hill. Ne fu tratto, nel 1987, un film con lo stesso nome diretto, da John Irvin. Molti tra i nostri lettori lo ricorderanno, oltre per la realistica ed esemplare crudezza delle immagini, anche per la sua bella colonna sonora.

Su tutte spicca “We Gotta Out of This Place” (Noi dobbiamo andarcene da questo posto) cantata dagli Animals. Il testo non parla della guerra del Vietnam, si riferisce a un ragazzo con un padre steso sul letto, prostrato da un duro lavoro. Il giovane ha deciso d’andare lontano. Tuttavia, quel ritornello diventò l’inno dei soldati che desideravano lasciare la guerra e tornarsene a casa. Ancora oggi leggendo i commenti dei veterani dal Vietnam molti di loro, per un motivo o per un altro, si ritrovano in quella canzone.

Nel calcio milanese, nel frattempo, si aggiunse un’altra perla, in un decennio davvero importante. Dal 1963, con il Milan e poi con l’Inter (nel ’64 e nel ’65) avevano vinto tre volte la Coppa dei Campioni, mettendo Milano al centro del mondo. Nel ’69 il Milan sancì la superiorità meneghina del periodo trionfando nell’edizione del ’69.

Nel campionato italiano i rossoneri si erano piazzati secondi (a pari merito con il Cagliari) dietro la Fiorentina di Bruno Pesaola, giunta al suo secondo e storico scudetto. Il Milan era allenato da Nereo Rocco. Per ricordarne la figura bisognerebbe spendere pagine di saggistica e saggezza calcistica. Ci limitiamo a dire che fu unico nel suo genere. Per umanità e conoscenze tecniche.

Il Milan era giunto alla finale, al Bernabéu di Madrid, il 28 Maggio. Dopo una serie di partite non facili. La regola, ferrea, legata all’eliminazione diretta fin dal primo turno presentò ostacoli all’apparenza insormontabili. Nei quarti toccò il Celtic di Glasgow che nel ’67 aveva vinto battendo l’Inter di Helenio Herrera. Si rivelò una brutta gatta da pelare dopo il pareggio (0-0) di San Siro. Il ritorno si caratterizzò per un assedio costante ma inutile degli scozzesi. Pierino Prati, segnò la rete decisiva in un micidiale contropiede. In semifinale la squadra di Rocco eliminò i campioni uscenti del Manchester United di Denis Law e George Best.

George Best

Si giunse ad una finale che va raccontata poiché l’avversario era l’Ajax, una squadra che avrebbe dominato negli anni a seguire.

Rocco, da tutti ritenuto un catenacciaro, aveva forgiato una formazione tutt’altro che difensiva. Bloccata la difesa, davanti a Cudicini, sull’asse Anquiletti, Malatrasi e Rosato; poteva contare sulle scorribande offensive del terzino tedesco Schnellinger. A centrocampo aveva un mediano del calibro di Trapattoni, un maratoneta come Lodetti e un centravanti arretrato (alla Hidegkuti) quale era diventato Sormani. In avanti una vecchia gloria come Kurt Hamrin, detto uccellino, con la regia di Gianni Rivera e la sfrontata giovinezza di Pierino Prati da Cinisello Balsamo. Bene: il Milan vinse quella gara 4-1. Tre i goal di Prati, l’altro lo segnò Sormani. Negli olandesi giocava un tipetto che qualcosa fece nella sua vita da calciatore. Tale Johan Cruijff. Il Milan Campione d’Europa si confermò anche nell’Intercontinentale guadagnando il trofeo mondiale contro l’Estudiantes. In quell’anno, a completare l’opera, arrivò il Pallone d’oro per Gianni Rivera, già da tempo il vero Golden Boy della squadra rossonera.

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