Sentieri di Celluloide
– Milano nel cinema –
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“IL GENERALE DELLA ROVERE”
“Non sono un pessimista : accorgersi del male dove esiste, a mio parere, è una forma di ottimismo”
(Roberto Rossellini)
La storia del cinema si divide in due ere : una prima e una dopo ‘Roma città aperta’.
(Otto Preminger)
Rossellini è il neorealismo. In lui la riscoperta della realtà, nella fattispecie dell’Italia quotidiana, abolita dalla retorica di allora, è stato un atto insieme intuitivo e strettamente legato alla circostanze. Egli era, fisicamente presente, quando la maschera cretina è caduta. Ed è stato uno dei primi a vedere la povera faccia della vera Italia.
(Pier Paolo Pasolini)
Roberto Rossellini è stato il regista che ha fatto sognare almeno due generazioni di cinefili, capofila, con Vittorio De Sica e Luchino Visconti, del Neorealismo italiano, aprì nuove dimensioni al linguaggio e ai temi espressivi del cinema mondiale.
La prima generazione, quella dei giovani del dopoguerra, fautori di un mondo migliore, più giusto, più vero, lo hanno ammirato come autore della cosidetta: “Trilogia della guerra antifascista“, composta da: “Roma città aperta“, 1945, “Paisà“, 1946, e “Germania anno zero“, 1948.
La seconda generazione di ‘rosselliniani’ è quella degli anni ’50, che ha amato: “Stromboli – Terra di Dio“, 1950, “Europa ’51“, 1952, e “Viaggio in italia“, 1953, tutti interpretati da Ingrid Bergman, in cui il regista concentra la sua attenzione soprattutto sulla dimensione privata della borghesia che penetra all’interno dei personaggi, fin dentro l’anima.
Caro signor Rossellini, ho visto i suoi film, “Roma città aperta” e “Paisà” e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla molto bene inglese, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa solo dire “Ti amo”, sono pronta a venire in italia, per lavorare con lei.
(Ingrid Bergman)
Un paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di non sapere nulla non può avere un domani, Io mi ricordo una definizione dell’Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, un grande giornalista, Ugo Ojetti, il quale mi disse : “Ma tu non hai ancora capito che l’Italia è un paese di contemporanei, senza antenati ne posteri, perché senza memoria”. Io avevo 25 anni, e mi resi conto che aveva assolutamente ragione.
(Indro Montanelli)
Nel 1959, Roberto Rossellini torna al tema della Resistenza portando sul grande schermo:”Il generale Della Rovere“, conquistando, alla 20° Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, il Leone d’Oro come miglior film, ex aequo con: “La grande guerra“, di Mario Monicelli. Tratto dal racconto omonimo scritto da Indro Montanelli durante la sua detenzione nel braccio politico del carcere di San Vittore nella Milano occupata dai nazisti. Il film vede protagonista Vittorio De Sica in una straordinaria prova attoriale, tanto che Rossellini dovette faticare non poco per contenere gli slanci di De Sica, spesso portato a sovraccaricare in senso retorico la sua interpretazione.
Durante la Seconda Guerra Mondiale un truffatore che si fa chiamare colonnello Grimaldi, amante del gioco d’azzardo che lo divora, e delle donne, con la complicità di un sottufficiale tedesco, estorce denaro ai familiari dei detenuti politici, millantando conoscenze influenti presso le autorità tedesche e promettendo in cambio dei soldi, l’interessamento della Gestapo per una favorevole soluzione dei loro casi.
Il suo gioco viene scoperto e per alleggerire la sua grave posizione accetta di collaborare con il colonnello Muller, il quale, riscontrata la sua abilità nell’ ingannare il prossimo, gli propone di assumere l’identità del generale Giovanni Braccioforte Della Rovere, importante ufficiale badogliano ucciso per errore dai soldati tedeschi.
Egli sarà internato nel carcere di San Vittore di Milano con l’incarico di assumere informazioni e di scoprire la vera identità di “Fabrizio”, il capo della Resistenza a cui la Gestapo non è ancora riuscita a dare un nome e un volto. La realtà carceraria, e della stessa Resistenza, con cui l’incallito imbroglione viene a contatto, lo porta lentamente a riconoscere i valori della dignità, del coraggio e del patriottismo. Verrà torturato, in modo da farlo passare, nel braccio dei carcerati politici, come eroe e rinchiuso nella stanza dove si trovano una ventina di uomini in attesa di essere fucilati per rappresaglia, tra i quali i nazisti sanno con certezza si nasconda anche il capo della Resistenza. “Fabrizio” si presenta a colui che crede essere il generale Della Rovere consegnandogli quella informazione che gli garantirebbe la libertà, oltre a un premio in denaro e un salvacondotto per espatriare in Svizzera, ma quando il colonnello Muller gli chiede di rivelargli il suo nome, egli rinuncia preferendo la sorte degli uomini che stanno andando a morire, riscattando in questo modo una vita fatta di umana miseria. Davanti al plotone di esecuzione cade dopo aver gridato: “Viva l’Italia“.
Roberto Rossellini realizza il film in 4 settimane di lavorazione tra il Luglio e l’Agosto del 1959, giusto il tempo per essere pronto per la 20° Mostra di Venezia, inaugurata il 24 agosto dello stesso anno.
Per affrettare la lavorazione tutti gli ambienti furono ricostruiti negli studi di Cinecittà, utilizzando il “Trasparente”, un particolare schermo sul quale sono retro proiettate delle immagini che fanno da sfondo alla scena, in cui si vede una Milano devastata dai bombardamenti, tra Piazza Duomo, Piazza della Scala e Galleria Vittorio Emanuele II.
Gli interni del carcere di San Vittore sono stati realizzati dallo scenografo Piero Zuffi, perfetti nel riprodurre il raggio dei detenuti politici, che, all’epoca dei fatti narrati, era gestito dalla giurisdizione delle SS, con un tribunale germanico. Raramente il penitenziario ha concesso al cinema di girare nei suoi corridoi, tra le eccezioni il film diretto nel 2010 da Michele Placido: “Vallanzasca – Gli angeli del male“, basato sulla vita del criminale milanese Renato Vallanzasca.
Ma questa è un’altra storia…
“A ben Arrivederci”
Joe Denti