Gli Azzurri dominano ma non vincono: Portogallo alle Final Four

Ci voleva una vittoria, possibilmente con due gol di scarto, per sperare nella qualificazione alle finali della Uefa Nations League. Poi avremmo dovuto comunque sperare in un risultato positivo, alquanto improbabile, della Polonia in Portogallo. Ma ci siamo tolti la pena di aspettare e sperare: con lo 0-0 di ieri sera allo stadio Meazza di San Siro i lusitani sono matematicamente primi nel girone e sfideranno l’élite del calcio europeo nel prossimo giugno.

Niente di drammatico, dato che nemmeno retrocederemo in serie B (dove sono già certi di andare i polacchi), soprattutto rispetto all’ultima partita giocata sul campo milanese che ci vide perdere, per la seconda volta in 80 anni, la qualificazione ai mondiali. Quel che più conta, la nazionale vista in campo ha giocato benissimo e dimostrato una personalità insospettabile fino a pochi mesi fa. merito di Mancini che ha costruito un’ottima organizzazione di gioco intorno ai tre talenti del centrocampo: Jorginho, Verratti e Barella. Il primo con la sua forza e lucidità, il secondo con il talento puro della visione di gioco, il terzo con la corsa instancabile e qualità adeguata. Il 70% di possesso palla contro il Portogallo, ovvero la squadra maestra per eccellenza nel tenere il pallone insieme alla Spagna, ha quasi dell’incredibile. Certo i portoghesi ieri non si sono dannati l’anima, accontentandosi di non perdere per qualificarsi, ma rimangono una formazione alla quale è difficile imporre il gioco. Invece ieri non l’hanno vista la palla.

La difesa poi si è confermata nella tradizione italiana: forte, arcigna, difficilmente superabile, con un Chiellini capitano e alla 100esima partita in azzurro in forma smagliante. Da lui e da Bonucci, fischiatissimo all’inizio anche se indossava la maglia della patria dai milanisti che non gli hanno perdonato l’orribile addio ai colori rossoneri della scorsa estate, partivano i palloni che i ‘piccoletti’ del centrocampo trasformavano in azioni di ottima fattura. Di prima, colpi di tacco mai fine a se stessi, sovrapposizioni e pressing immediato appena si perdeva il pallone. Con i ripiegamenti di Insigne dall’attacco, le trame italiane erano quasi costantemente imprevedibili e minacciose.

Minacciose sì, ma quasi mai pericolose. Perché il grande problema di una squadra che gioca bene come non ha quasi mai fatto nella sua storia pur ricca di successi, è l’attacco. Non si concretizzano le occasioni, che sono comunque poche rispetto alla quantità di gioco espresso e all’inventiva dei centrocampisti. Manca il centravanti, quello classico, quello che non fa altro che fare gol quando il pallone giusto gli capita tra i piedi. Immobile è stato deludente, mangiandosi due occasioni clamorose davanti a Rui Patricio, e risultando evidentemente inferiore al resto dei compagni. Non colpa, ma limiti. D’altronde resta forse il meglio che in quel ruolo oggi abbiamo in Italia. Belotti, sulla carta devstante, è da molti mesi fuori forma; Lasagna è allo stesso livello di Immobile; Pavoletti forse potrebbe fare bene ma non è certo il centravanti di valore mondiale che potrebbe far fare a questa nazionale il salto di qualità definitivo. Icardi, Lewandoski, Cavani, solo per citarne alcuni, sono un altro pianeta.

Ma intanto va bene così. Nessuno si dispera per la mancata qualificazione, le basi sono ottime e il calcio espresso anche spettacolare. Un passo alla volta torneremo a far pesare su tutti i campi le quattro stelle d’oro che portiamo sulla maglia.

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