Giochi (2026) senza frontiere

Non è così che si imposta una candidatura. L’Italia dello sport che cerca riscatto nel mondo politico internazionale dopo il flop di Roma 2024, crollata sotto i colpi di un’amministrazione comunale capitolina contraria al ritorno dei cinque cerchi nella città aperta, non sembra aver inteso in quale modo poter arrivare alla meta. Lo si capisce negli atteggiamenti e nelle parole degli attori protagonisti, dai sindaci delle tre città coinvolte (Milano, Torino e Cortina) alle istituzioni nazionali sportive e non. Lo si è compreso nel momento in cui davanti all’attesa per la scelta della location su cui puntare, il Coni ha scelto di non scegliere e si è affidata a tutte le concorrenti insieme, trincerandosi dietro alla sventolata sensazione che una candidatura congiunta sarebbe stata ancora più forte.

L’augurio è che abbia ragione chi ha fatto la scelta, le prime reazioni non sono state però foriere di applausi. “Le considerazioni personali non aiutano”, dice Malagò, con una presa di posizione cui è difficile dare torto, ma che non tiene conto del possibile errore a monte. Nei tanti colloqui avuti prima della decisione è difficile pensare che non sia stato tastato il terreno presso i rappresentanti dei dossier e viste le reazioni postume è facile pensare che siano piovuti i “no”. Inascoltati. Alla fine la candidatura “Italia”, invece di unire le tre diverse fazioni, ha acuito le differenze tra le stesse, non tenendo conto non solo delle legittime ambizioni delle città in gioco (che potrebbero anche essere accantonate, se davvero ci fosse un’idea di squadra) ma anche delle difficoltà che già sembravano evidenti nei singoli dossier.

Prendiamo Torino, nella cui amministrazione c’è chi nemmeno nasconde la propria contrarietà ad ospitare i Giochi. Una città che la sua parentesi a cinque cerchi l’ha avuta nel 2006 e al quale difficilmente verrà affidata nuovamente un’organizzazione della rassegna olimpica a così stretto giro (eppure nessuno sembra averci pensato) per non parlare del fatto che il colore politico è lo stesso di chi non ha permesso che Roma 2024 avanzasse ed è lo stesso dei consiglieri che hanno aperto il fuoco amico contro Appendino.

La sindaca, uscita indenne dai contrasti interni, ha espresso contrarietà all’idea di una Milano capofila. Tridente sì, ma senza centravanti di riferimento. Quello che invece Sala e Fontana vorrebbero essere, ben coscienti che se c’è un nome da spendere a livello internazionale fra le tre città questo è quello della metropoli all’ombra della Madonnina. Soprattutto Sala, probabilmente, sperava di poter strappare qualcosa in più di una parte da co-protagonista. E invece il lavoro comune fatto per la sessione Cio 2019 con Malagò non ha portato benefici al momento della scelta. Il Coni, con il suo numero uno in primis, sono fermamente convinti della scelta della candidatura Italia e hanno fatto capire di voler andare fino in fondo.

Entro il 19 settembre si capirà se potrà finire a “tarallucci e vino” almeno la prima fase, quella entro cui bisognerà comunicare al Cio se c’è o meno un’Italia candidata per i Giochi 2026. Non è uno step definitivo, ma sarebbe un segnale che si vuole andare avanti e superare le difficoltà. A meno che a seguito della lettera non si ricominci a parlare di ciò che si sarebbe voluto fare. Se così dovrà essere, soprattutto per quanto riguarda Milano, meglio forse ritirarsi prima che l’organizzazione prenda piede e che la ritirata diventi più complicata da spiegare.

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